giovedì 31 maggio 2018

Altre sei pagine per i miei lettori

Tutto buono e non si è pagato tanto, andiamo al bar che fuori fa troppo caldo e riprendiamo il racconto davanti ad un paio di bottiglie di birra.
Quindi eravamo alle vecchie babbione inglesi, in quella locanda si fermavano un sacco di pellegrini anche a colazione, Rabanal è un piccolo paese medievale molto bello, pulito, ordinato, silenzioso ed attrezzato per accogliere i pellegrini, c’è la cucina e le vettovaglie, per cui all’ora di cena c’è la possibilità cucinare qualcosa.
La sveglia arriva quando il sole non fa ancora capolino, senza fare troppo rumore vai fare colazione e ricordo che quella mattina hanno preparato del pane fritto nel burro, con spalmata sopra della marmellata, una
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benedizione per affrontare la salita verso la Cruz.
Mentre facevo colazione mi sono ricordato che era il giorno del mio compleanno, la vescica faceva ancora male, così ho sostituito le scarpe con dei sandali da trecking e devo dirti che camminavo molto meglio.
La salita non era molto impegnativa e in un paio d’ore sono arrivato alla Cruz de Hierro, faceva freddo, c’èra la nebbia e sembrava volesse piovere, mi sono fermato una mezz’oretta a contemplare la bellezza del paesaggio prima di partire per Manjarin, dove poi finalmente comincia la discesa fino a Molinaseca.
Anche se in discesa è lunga ed estenuante, in alcuni punti è ripida e insidiosa, sul percorso mi fermo con gli altri pellegrini a El Acebo, per mangiare un panino e fare una pausa, qui conosco Paula.
Paula era una pellegrina che viaggiava anche lei da sola per andare a Santiago, lei si era seduta occasionalmente accanto a me e poi sai le solite cose: che caldo, mi fanno male i piedi, viaggio da sola anch’io, buono questo panino, ci voleva proprio e poi abbiamo ripreso la discesa insieme.
Da dove vieni mi chiede giustamente Paula accorgendosi del mio spagnolo stentato, io gli ho detto che venivo dal mare e gli ho spiegato che mi piace andare per mare, che avevo questa curiosità mistica di visitare Santiago e così ho ormeggiato la barca a Noia ed eccomi qua, ma scappo da Parigi e tu?
Lei mi ha risposto che non è andata mai per mare, che
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sentiva il bisogno di fare questo pellegrinaggio e usando un mio termine marinaro, mi ha detto di avere ormeggiato il marito a casa ed era la anche lei. 
Quindi sposata!? gli faccio io e lei mi risponde, si tu invece no, come l’hai capito, ribatto io e lei con aria di superiorità mi dice: dimentichi che sono una donna?
Questa cosa bene bene non l’ho capita, ma siamo andati avanti chiedendogli: che fai nella vita, quanti figli hai e giù tutte le cazzate possibili per tenere viva una discussione.
Nel frattempo sento un dolore ai muscoli dei polpacci che mi porterò fino alla fine, dopo quattro ore di discesa eravamo veramente stanchi, vedevo gli altri pellegrini che si fermavano, mentre il mio ginocchio sinistro stava per andare fuori uso.
Dovevo fasciarlo, mi faceva male e fu allora che mi sono detto: ”ma chi me l’ha fatto fare”, mi sono fermato e Paula mi ha aiutato a fasciare il ginocchio, non fare nessuna battuta delle tue, se no smetto di raccontarti.
Finalmente siamo arrivati a Molinaseca, ancora altri 5 o 6 chilometri e saremmo arrivati a Ponferrada, ma questo tratto è stato terribile, dolori fortissimi al ginocchio e ai polpacci, mi sento mancare il fiato e anche le energie.
Lo so! chi me l’ha fatto fare, ma a saperle certe cose, comunque, siamo riusciti a trovare posto nell’albergue municipal che non è l’Hilton, è una grande camerata da un’ottantina di posti e tutti che russavano.
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Anche qui accettavano offerte, tutto era pulito, c’erano tante docce e potevi utilizzare la cucina e il pentolame e poi c’era pure un più pratico distributore di bibite e snack e una grande vasca posta al centro del cortile, dove tutti stremati dalla fatica, abbiamo messo le gambe in quell’acqua fredda rigenerante.
Il giorno successivo al mio compleanno era ferragosto, il castello dei templari costeggia il percorso e ho così modo di poterlo ammirare, la giornata era molto calda e devo ringraziare Paula che mi spronava parlandomi e segnandomi il ritmo.
Affronto la penultima salita oramai allo stremo e arriviamo alla stupenda Villafranca del Berzo, forse la cittadina più bella incontrata, la sera a cena andiamo nel ristorantino per un abbondantissimo “menù del pellegrino” e li incontriamo 4 italiani.
Mangiamo tutti insieme ridendo e scherzando come vecchi amici, vedi! La condivisione di quell’esperienza fatta di fatica, dolore, paesaggi e speranze unisce e lega le persone.
Ripartiamo, la tappa è lunga e dura, la salita è mostruosa, il paesaggio è incantevole ma io quasi non me ne accorgo dalla fatica, comincio a perdere la cognizione del tempo e Paula si offre di farmi un massaggio a piedi e gambe, zitto e non fare battute.
Facciamo due giorni di vero camminamento e pellegrinaggio, io arrivo a Triacastela con la febbre e zoppicante, mentre si affolla di turisti-pellegrini e da li
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fino a Santiago procediamo con un autobus turistico, lasciandomi più di duecento chilometri alle spalle.
Le guglie e la cattedrale regalano qualcosa di unico, come un tonfo al cuore, abbiamo assistito alla toccante messa e alla benedizione del pellegrino, non sto qui a dirti cosa si prova quando si arriva alla porta d’ingresso.
La c’’è chi ride, chi corre, chi piange, chi si butta per terra, c’è chi come me si accende una sigaretta, siamo rimasti lì ancora un giorno per visitare la città e sul tardi pomeriggio siamo partiti per fare ritorno.
Durante il viaggio di ritorno in pullman con la mia nuova amica, non riuscivo a dimenticare i dolori, i luoghi, gli odori delle mucche e del metano, l’eucalipto e il rumore della corrente elettrica sotto i tralicci, i sorrisi e gli amici.
Ad un certo punto mi sono accorto di una situazione un po' strana e imbarazzante, Paula continuava a fissarmi con una certa insistenza, quelli sguardi cominciarono a stuzzicarmi e siccome di prove fisiche e spirituali durante il cannino ne avevo sopportate abbastanza e non avevo nessuna intenzione resistere a questa.
Paula era una quarantenne madre di due figli adolescenti, una donna con forti sentimenti religiosi e molto osservante, ma con un marito che non condivideva questo suo sentimento religioso e forse anche altri ed è proprio per questo mi sono stupito quando durante il viaggio in pullman verso Noia, gli sguardi di Paula hanno cominciato ad incontrarsi con i miei con troppa insistenza.
 
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Quello scambio di occhiate era il segno che era nata una particolare intesa fra noi, la trovavo una cosa strana, fino ad allora non mi aveva mai guardato in quel modo, non capivo o meglio capivo ma pensavo di avere capito male e comunque non volevo sbagliarmi.
Piano piano, a forza di sguardi e sorrisi non ho più avuto dubbi, era una situazione che in un certo senso mi turbava, nel bene e male anche se non era la prima volta e il pensiero di Fiorella non mi lasciava.
Ero certo che il suo fosse un esplicito invito, così con la paura di sbagliare gli ho chiesto se gli andava di continuare il suo viaggio, per trascorrere la notte in barca con me.
Lo so che ti stavi mordendo la lingua e che morivi dalla voglia di chiedermelo se c’ero stato a letto, eccoti accontentato, ma non è come pensi, vedrai, piuttosto andiamo a finire il racconto passeggiando che mi sgranchisco un pò.
La nostra notte d’amore durò parecchio, quasi fino d’alba, mettila così come dici, che eravamo arretrati da parecchio, quando ci siamo abbandonati esausti uno di fianco all’altra, siamo rimasti senza parole fin chè non abbiamo preso sonno.
Paula mi confessò che dopo sedici anni di matrimonio aveva tradito suo marito, si sentiva profondamente in colpa e per una donna con rigidi principi morali come lei non è cosa da poco.
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Sapevamo tutti e due che la nostra trasgressione non poteva diventare una tresca e in lei cominciava ad insinuarsi qualche timido rimorso, ci siamo dati un bacio sul pontile e lei è tornata a San Xusto dove viveva, io sono tornato velocemente sull’oceano per recuperare il tempo perduto.
Ho approfittato del mare ancora buono, ho preferito non fermarmi a Porto e ho continuato per Lisbona, dove ho fatto la solita tappa di rifornimento e per dormire a riparo dentro il porto.
La mattina dopo sono andato da Lisbona fino a Malaga, passato lo stretto di Gibilterra e una volta nel mediterraneo mi sono sentito più sicuro, dopo la sosta a Malaga mi sono diretto a Valencia e li mi sono fermato per qualche giorno.
La mattina mi sono svegliato con la pioggia che mi ha accompagnato anche per il tour del centro storico, ero già stato una volta a Valencia ma per lavoro, l’unica cosa che avevo visto è stata la paella e quella valenziana è la migliore in assoluto.
La pioggia disturbava un po' i miei piani, era domenica e per usufruire dell’apertura gratuita dei monumenti ho invertito il mio programma delle visite, così invece di cominciare dal parco oceanografico, ho cominciato dalla celebre Lonja de la sede, ovvero il palazzo della seta.

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sabato 12 maggio 2018

Mentre aspettate Salvini e Di Maio fare il governo


e panchine, in un numero enorme.
Io sono stato lì per una ventina di giorni, nei miei momenti liberi andavo spesso a Plaza Nueva a gustarmi dei meravigliosi pintox accompagnati da un sublime calice di vino e poi da lì andavo a piedi a vedere la cattedrale o prendevo il tram per andare al Guggenheim Museum.
Un meraviglioso museo bellissimo già nell’architettura e davanti si trova il famoso Puppy il cane di fiori, uno dei simboli più conosciuti della città, ordinata, pulita, vitale e dinamica, dove il ritmo della vita appare molto slow.
Sulla Gran Via tra negozi e grandi magazzini, sibilano gli avveniristici tram con l’aspetto di lunghi bruchi, mentre flotte di persone avanzano in silenzio come sospese nel tempo, mentre altre gustano distratte un dolcissimo gelato.
No! Non uscivo con Elena nei momenti liberi e non ci sono andato a letto se è questo che vuoi sapere, confesso che lavorando tutto il giorno insieme, qualche volta un pensierino ce l’ho fatto, ma era complicato e poi se non mi odiava poco ci mancava.
Comunque non è che faccio il cascamorto con tutte le donne, capita ogni tanto di avere una comune necessità di sesso, tutto qua, dopo tre settimane ho fatto un po' di soldi, ho preso la metropolitana e sono tornato a Getxo.
Getxo nasce come un paesino di pescatori, poi diventa una località turistica e si riempie di ville in riva al mare, la sua attrazione più nota è Puente Colgante, patriminio dell’Unesco.
Quaranta metri di travi e cavi in ferro, un ponte lungo centocinquanta metri che unisce le due sponde, costruito da
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un discepolo di Eiffel, io avevo fretta di andare via, volevo girare le colonne d’ercole prima che arrivasse l’autunno, l’oceano è già brutto in estate, figuriamoci in autunno.
Sono partito da Getxo per arrivare a Santader, durante la navigazione un moto ondoso costante, avanzava come la risacca in quel freddo tratto d’oceano verso la costa e poi si ritira, le onde ripartivano e toccavano le estremità rocciose colpendo gli scogli, poi diventano docili e improvvisamente ancora impetuose.
Come se non fosse già una situazione romanzesca, ad assistere alle operazioni dell’oceano è comparsa una balena, che prima guarda, sbuffa e poi se va con immenso sollievo da parte mia, era la prima volta che mi trovavo in questa situazione.
Le onde mi avevano portato al largo e avevo anche un po' di mal di mare, mi sono affrettato a raggiungere il porto di Santander, prima che fosse sopraggiunta l’oscurità o non sarei sopravvissuto.
Per quanto tu possa fare teoria e pratica nei corsi di nautica, quando ti trovi nell’oceano non sei mai abbastanza preparato, però devo dire che alla fine sono riuscito a gestire la situazione al meglio e senza intoppi.
Il mare ha le sue regole e una barca è sicura solo in porto, appena arrivato e ormeggiato, sono sceso a terra per andare in una osteria del porto, a bere un bel bicchiere di vino txakolì rosato.
In queste osterie noti lo spirito di libertà dei marinai, bere un bicchiere di txakolì per loro è un rito sociale e va consumato in compagnia, senti l’odore del pesce appena seccato tenuto nei
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magazzini e di quello arrostito sulle graticole per strada sulla banchina.
Nell’osteria dove mi sono fermato per mangiare e bere, si raccontava la storia di tre marinai naufragati davanti all’isola di Tristan da Cunha con altri tredici compagni di sventura.
Lì aspettarono che passasse una nave che li riportasse nel mondo civile e dopo quasi quattro mesi furono imbarcati da una nave che li ha portati a Città del Capo, in attesa poi di tornare in Europa.
Due di loro però vollero restare, perché durante l’incendio scoppiato a bordo e causa del naufragio, hanno fatto un voto alla madonna, che se si fossero salvati sarebbero rimasti sull’isola.
In realtà la madonna non c’entrava niente, in quei mesi passati sull’isola si erano innamorati di due isolane e avevano deciso di fermarsi e vivere l’amore su un’isola povera, impervia e faticosa.
Con loro anche un terzo naufrago si era innamorato, ma ha deciso di tornarsene in patria dove lo aspettava la madre ultra ottantenne, che poi è morta dopo qualche anno.
Lui raccontava sempre agli amici di questi tre mesi d’amore e lasciava trasparire quanto fosse ancora innamorato di quella donna, il grande rimpianto e l’invidia per gli altri due rimasti sull’isola.
In verità l’isolana sedotta e abbandonata, gli aveva scritto per confessargli di essere innamoratissima, ma la madre ne veniva in possesso, le leggeva e le bruciava, senza farne mai parola con il figlio, temendo che potesse tornare a Tristan e perderlo.
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Lui però sapeva attraverso le lettere degli altri naufraghi alle loro famiglie, delle struggenti lettere scritte dalla sua amata e che la madre le riceveva e le bruciava, ma l’attaccamento per la madre gli fece vivere una vita di rimpianti e infelicità.
Qual è la morale? Vivi la vita così come ti vieni, sicuramente non come la mia, comunque quella sera sono rimasto a dormire in barca e il giorno dopo siccome non era ancora previsto bel tempo, mi sono fatto un giro per Santander.
Per prima cosa ho deciso di dedicare la mattinata alla visita della penisola della Magdalena, uno dei posti più belli e speciali di Santander, dalla spiaggia prima di entrare nel parco e vicino le rocce si vedono le isole di La Torre e Horadada.
Il parco è grandissimo e all’ingresso c’è un trenino turistico per chi non vuole fare a piedi il percorso completo, si passa dall’imbarcadero Reale, il Faro della Cerda, fino alla spianata del palazzo della Magdalena.
Lungo la discesa si trovano tre caravelle autentiche che un marinaio ha donato a Santander e che dicono essere una riproduzione di quelle di Colombo, nel mini zoo invece ci sono molti animali marini, foche, pinguini e otarie, immersi nell’acqua che arriva direttamente dal mare.
Era già l’ora di pranzo, ho attraversato i giardini San Rogue per arrivare a piazza d’Italia, dove c’è il maestoso Gran Casinò con numerosi locali all’aperto che danno sulla spiaggia e dove ho pranzato accarezzato dalla brezza marina profumata di salsedine.
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Dopo pranzo ho fatto una sosta di relax al belvedere dei giardini di Piquio e poi una passeggiata fino alla fine del parco di Mesones all’estremità della città, dove c’è il faro di Cabo Mayor alto trenta metri.
Mentre tornavo al porto mi accompagnava uno splendido tramonto e dopo avere passato la sera in un’osteria del porto e prima di tornare in barca per la notte, ho chiesto notizie alla capitaneria che mi dava l’ok per potere salpare la mattina successiva per raggiungere La Coruna.
Sono partito all’alba sulla lunga rotta per La Coruna navigavo sotto costa, su quell’oceano immenso in balia delle correnti e delle onde, deve puoi smarrirti e ritrovarti ad ogni virata anche nell’era del Gps.
A prua tra le onde e il vento la solita compagnia dei delfini, mi hanno accompagnato fino al porto di La Coruna, dove sfinito per il lungo viaggio ho attraccato la barca e sono andato in cerca di un posto per mangiare.
Tornato in barca per la notte, la mia attenzione si è concentrata sulla luce del faro, era una curiosità strana e dire che di fari ne avevo visti, ma adesso ne ero particolarmente attratto, così la mattina appena sveglio mi sono portato sotto quell’imponente struttura che mi intrigava.
Appena arrivato il guardiano del faro mi ha invitato a salire, credo che passare tutte le giornate lassù da soli doveva essere affascinante e forse pure noioso.
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Ricordo che dopo i convenevoli sono uscito sulla passerella in cima al faro e mi è sembrato di volare, la torre si ergeva sull’oceano e guardavo l’ultimo galoppo dei riccioli delle onde insinuarsi tra i faraglioni ed infrangersi sulla scogliera.
Il mare non era in tempesta, sulla passerella il Libeccio arrivava come lamenti, poi verso mezzogiorno cominciò un fosco Scirocco di Levante, le onde orlate di spuma poi si trasformarono in un mare quasi piatto, che mattinata Marco!
Allora di pranzo io e Josè Luis siamo andati insieme a mangiare a casa sua, lui era scapolo e viveva da solo, ad accudirlo c’era una ragazza di ventotto anni che s’era lasciata con il marito e faceva questo lavoro per mantenere lei e una bimba di due anni.
Quanti anni aveva Josè Luis? Trentacinque, no! non vivevano insieme, Isabel e la bambina avevano una stanzetta tutta per loro e non so sé se la intendevano, la cosa non mi interessava, io ero preso da questa nuova “passione”: il faro.
Il pranzo era un piatto unico il lacon, che è un prosciutto ricavato dalle zampe anteriori del maiale, che viene salato e stagionato per un breve periodo, con i grelos, che sono i fiori delle cime di rapa, raccolte in inverno, con del pane locale davvero squisito e del vino della casa rosso e corretto con so cosa.
Io durante il viaggio dal faro a casa sua, mentre Isabel

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cucinava, durante e dopo il pranzo, non ho fatto altro che chiedere notizie sui fari e sui loro guardiani.
Ci siamo seduti fuori sotto una specie di pergola a bere una birra, mentre in casa Isabel continuava con il suo lavoro e la piccola giocava in braccio a Josè Luis, che continuava a parlarmi dei fari e poi mi disse:
Giulio! Stasera vieni al faro con me, voglio farti un regalo prima di partire per Noia.
Così prima del tramonto Isabel ci preparò dei take away con del polipo a feira, uno squisito modo di cucinare il polipo in Spagna e una fiaschetta con il vino rosso, ho salutato e ringraziato la bella Isabel e la piccola Maria e siamo andati a passare la notte alla “Torre di Hèrcules”.
Come cos’era? Il faro! Ah! Com’era Isabel? A ventotto anni le donne sono tutte belle, lei aveva i tratti somatici marcatamente spagnoli, tipo Penelope Cruz per intenderci, vuoi sapere anche di Josè Luis? Quello no, non ti interessa.
Piuttosto andiamo a fare una passeggiata che mi sgranchisco un po' le gambe mentre ti racconto il resto, allora dove eravamo? Si! Sul faro siamo arrivati al tramonto, il mare piatto sembrava di bronzo mentre il sole scompariva all’orizzonte.
Il sereno maestoso a sera lasciò il posto alla tramontana che soffiava da nord e frustava il mare dall’alto con raffiche serpeggianti e irregolari, attorno alla lanterna i gabbiani veleggiano immobili, così vicini a vetri che si potevano toccare.
La notte fu stellata e sul tardi ho potuto vedere le costellazioni dello Scorpione e di Orione, Josè Luis mi diceva che di fari oggi
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ne restano pochi e pochissimi con il guardiano, sono dei beni culturali protetti, molti sono stati adibiti a soggiorno turistico o a ristoranti.
Il regalo di Josè Luis è stata l’aurora del mattino seguente, appena cominciò a sorgere si spense il faro, come se si fossero passate le consegne per illuminare la terra.
L’aurora bucò la foschia ad oriente, uno squarcio sottile si agitava per farsi strada tra le nubi, poi scorse lenta come una sinfonia, salutata da centinaia di gabbiani, era stata la cerimonia necessaria del risorgere del sole.
Quella visione magica del mondo, mi fece capire cosa volevo fare da grande e del resto della mia vita, quella aurora mi riportava ai tempi di Venezia e inesorabilmente al ricordo di Fiorella, riempendomi comunque di gioia.
Ho salutato e ringraziato enormemente Josè Luis per tutto quello di materiale e di spirituale che mi aveva dato, era tardi per fare rotta verso Noia e siccome per il giorno seguente era previsto bel tempo, ho deciso di andare a visitare l’Aquarium.
Io non sono un appassionato di oceani o del mondo marino, sono uno curioso a cui piace conoscere e devo dirti che davanti allo straordinario Aquarium Finisterrae, che tradotto vuol dire: acquario alla fine del mondo, sono rimasto veramente colpito.
Questa struttura si trova sul bordo dell’oceano Atlantico, a due passi dal faro di Josè Luis e all’interno di questo imponente edificio ci sono varie sezioni tematiche, dalle foche grigie ai cavallucci marini, ai polipi, alle meduse e persino gli squali.
Sempre all’interno di questo acquario c’è la più grande sala d’osservazione sottomarina d’Europa, è nominata sala
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Nautilus ed è decorata tipo lo studio del capitano Nemo. L’acquario contiene quasi 5 000 000 di litri d’acqua e oltre 50 specie di pesci, se vuoi, puoi entrare nella piscina delle carezze, dove puoi toccare con le tue mani alcuni tipi di pesce, che so …. le stelle marine o i rombi per esempio.
L’acquario più grande è la sala dell’oceano Atlantico, li puoi vedere più di 500 specie marine provenienti da questo mare, la sala ha una capienza di circa 400 persone e funziona pure come sala da ballo.
Poi ci sono le piscine esterne collegate direttamente con l’oceano, ti permettono di osservare i movimenti del mare, molto suggestivo è il giardino del polipo, un acquario dedicato al pilastro della cucina galiziana.
Si! Il polipo in Spagna e in Galizia in particolare è come i tortellini in Emilia, comunque questo acquario è come il Louvre, è una delle più complete e grandiose strutture del genere al mondo e occorre un sacco di tempo per visitarla, sempre che ti voglia godere tutto quello che ha da offrirti.
Si ma a parlare di pesce e tortellini, vista l’ora, che ne dici di andarci a mangiare un bel risotto e una frittura di pesce alla Playa del Sol?
Perfetto, andiamo e continuo a raccontarti, come ti dicevo per vedere tutto ci sarebbero voluti tre giorni, sapevo che il giorno dopo ci sarebbe stato mare buono e così ho mangiato qualcosa e sono andato a dormire in coperta.
All’alba sono partito per Noia, il mare alternava onde più o meno alte a secondo da dove arrivava la brezza e alcune volte sono stato in vera difficoltà …. Paura? No! Vedi hai paura
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quando hai qualcosa da perdere, io dopo avere perso Fiorella non ho più niente da perdere …. La vita? Io non vivo, sopravvivo, sono cose complicate che non auguro a nessuno, ma cambiamo argomento.
Arrivato a Noia ho ormeggiato bene la barca, perché da diversi anni covavo il desiderio di fare il cammino di Santiago De Compostela, anche se non sono un camminatore o un escursionista.
Ne avevo voglia e anche se non c’era nessun motivo apparente, in realtà pensavo di darmi una specie di “punizione” per come era finita con Fiorella, come se sentissi mia la colpa, a San Sebastian, a Biarritz, a La Coruna, ovunque c’era sempre l’indicazione per il cammino per Santiago e così stavolta avevo deciso di farlo.
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Abbigliamento ed accessori adeguati, ho tirato un bel respiro e ho affrontato quest’avventura, prendo un autobus ed arrivo ad Astorga.
Arrivo in tarda serata, pernotto in un ostello con un bagno condiviso e qui ti lascio immaginare, al risveglio ero bello carico ma prima di imboccare il sentiero per il cammino, sono andato a vedere la cattedrale e il palazzo Gaudì, che sinceramente meritano.
Finita la visita sono tornato indietro è ho preso il sentiero segnalato dal cartello, parto a tutta birra e arrivo alla chiesetta dell’Ecce Homo, però sto andando troppo veloce e così mi fermo a Santa Catalina de Somoza, il primo paesino sul “cammino”.
Riempio la borraccia, faccio riposare bene i miei piedi e riparto per prendermi una pausa dopo una decina di chilometri ad El Ganso, un paese piccolo ma pulito, entro in una cantina/negozio e mangio un po' di frutta secca, qualche biscotto, dei sali minerali e riprendo il cammino.
Non faccio neanche cinque chilometri e comincio ad avvertire qualche fastidio ai piedi, avevo una vescica sotto la pianta del piede, provo a camminare ancora, ma le difficoltà aumentano, diciamo che oramai sono un uomo di mare e queste cose non sono per me, forse non sono mai state, ma oramai ero in ballo.
Mi fermo così a Rabanal, la mia prima tappa si conclude attorno all’una e decido di alloggiare al Guacelmo, un alberghetto ad offerta libera, gestito da
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un gruppo di accoglienti e gentilissime signore inglesi. Marco! Ma è possibile che tu debba ricondurre sempre tutto al sesso, le accoglienti e gentilissime signore inglesi, erano anche vecchie, brutte e grasse e poi il fatto di andare per mare da solo non mi fa un assatanato.
Vedi! Non so tu, ma anche per fare solo sesso deve esserci quel attimo speciale ….
Buon giorno siamo in due, si va bene lì in quell’angolo.
…. ma cosa c’entra che il marinaio ha una donna in ogni porto, Marco tu vedi troppi film, ecco assaggia quest’antipasto piuttosto, buon appetito, adesso pranziamo e poi se sei sempre convinto di continuare ad ascoltare le mie vicissitudini continuiamo.

mercoledì 2 maggio 2018

Signori altre sei pagine del mio racconto


Nel frattempo si era fatto sera, a casa di Ula non c’era la televisione, c’era un computer ma era senza connessione internet, c’era un vecchio telefono appeso in cucina, non c’era un impianto di musica, ma c’era solo una vecchia radio, così annoiato di vedere piovere seduto in veranda, ho detto ad Ula di preparare da mangiare e che io gli avrei dato una mano.
Cosa gli sia passato quella sera per la testa non so dirtelo con esattezza, ma mentre stavamo in cucina per preparare da mangiare, ai sorrisi abbozzati si è aggiunta anche qualche strusciata apparentemente casuale tra il tavolo e i fornelli.
Ula sapeva far risaltare gli aspetti migliori della sua femminilità, sfoggiandoli a tavola prima e in veranda dopo, non era ancora tardissimo e lei mi disse che andava a letto, perché l’indomani dovevamo fare un servizio sulla spiaggia Donostia.
Io sono rimasto ancora il tempo di una sigaretta e sono salito per andare a letto anch’io, mentre mi stavo dirigendo verso la mia stanza, Ula è spuntata fuori dalla sua stanza, mi ha preso per un braccio e mi ha portato dentro.
Senza dire una parola l’ho presa tra le braccia e ci siamo lasciati andare in un bacio infinito, aveva delle labbra morbide e un corpo da favola nonostante gli anni, è stata una nottata di quelle che non dimentichi.
No! Non aveva proprio settant’anni, andava per i sessantotto, comunque dopo qualche ora di sonno beato, per non creare situazioni imbarazzanti al mattino seguente, alle cinque sgattaiolai nella mia
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stanza, dove sono rimasto sveglio a pensare fino alle sei e mezzo circa quando ho ripreso sonno.
Attorno alle nove sono sceso in cucina, con l’imbarazzo e il timore che quello che era successo tra di noi la sera prima, non fosse motivo di un inizio di relazione, io non ero innamorato di lei, mi inquietava, ma non ero innamorato e non volevo che potesse pensare all’inizio di un amore appassionato.
Ula ha risposto distaccata a mio buongiorno, tutto si è svolto nella solita maniera come se quella notte non ci fosse mai stata, abbiamo fatto colazione con torriias e bolas, discutendo cordialmente come sempre, senza mai fare un minimo cenno in nessun modo a quanto c’era stato tra di noi.
Non mi sento di avere tradito Fiorella, lei è e resta l’amore più grande della mia vita, nel mio cuore adesso non c’è posto per nessuna altra donna, certo che è possibile che incontri un’altra persona, anche un uomo come dici e che mi possa innamorare.
Vedi l’amore assoluto per me non esiste, noi ci innamoriamo di una persona su un campione ristretto di umanità, ma se potessimo avere la possibilità di conoscere tutte le donne del mondo, solo allora avremmo la certezza dell’amore assoluto.
Non vado in giro per cercare una donna che sostituisca Fiorella, vado per mare perché non riesco più a vivere con la gente, mi sono condannato a vivere da solo con il suo ricordo.
Ma torniamo a San Sebastian, anche quella mattina Ortiz ci ha accompagnato con la jeep, peccato per la pioggia caduta in nottata, perché la spiaggia che costeggia la Donostia è bella e suggestiva.
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Fatte le foto sulla spiaggia, siamo andati a completare il servizio fotografico alla Cattedrale, al teatro e alla chiesa di San Vincente, come si dice ….. amici come prima, con lo stesso atteggiamento degli altri giorni, godendoci il pranzo ridendo e scherzando per i gustosi pintox, una specie di patas.
Il lavoro era finito, Ula mi ha liquidato quanto avevamo convenuto e nel pomeriggio siamo andati a divertirci per la città, come una specie di saluto, San Sebastian è una cittadina piena di vitalità e in quel periodo c’erano concerti gratuiti un po' sparsi ovunque.
Ci siamo ritirati la sera sfiniti dal tanto camminare e dalla giornata terribilmente uggiosa e fredda, abbiamo fatto la spesa in un piccolo supermarket e abbiamo preferito cenare a casa di Ula.
Il copione si è ripetuto anche quella sera, solo che stavolta siamo finiti prima sul divano e poi a letto, lei mi piaceva ma sapevo che non c’era niente altro di più, non volevo deluderla e poi il ricordo di Fiorella mi divorava, ho capito che il mio se pur breve soggiorno a San Sebastian era finito.
Mi sono fatto una lunga e sana dormita, una doccia calda al risveglio, ho raccolto le mie cose e via lontano da tentazioni, volevo cominciare quella vita in mare che desideravo e che non avevo ancora fatto, Ula come sempre era già sveglia ad armeggiare in cucina, mi ha sentito arrivare e senza guardarmi mi ha detto:
So cosa provi per quella donna, provi le cose che provo ancora io per Ralph, non occorre che dici nulla, io come vedi ho scelto di stare qui come te da sola, se un giorno il destino ti porterà da queste parti, mi farà piacere dividere con te la mia solitudine. 
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Ho preso le mie cose e sono uscito in silenzio dalla sua vita, così come vi ero entrato, ho raggiunto la mia barca, il grande giorno era arrivato, piano piano ho fatto il rifornimento di tutto quello che mi occorreva e mi sono preparato a salpare per Getxo.
Si ma adesso si è fatto tardi, ti ringrazio per la bella serata e me ne vado a dormire in barca, ti racconterò il resto domani mattina dopo una bella dormita, sempre se ne avrai voglia.

PASSATA LA NOTTE
Ciao amico, come va? Hai dormito bene? Io abbastanza, ma ora devo mettere però qualcosa sotto i denti, dai andiamo al bar, mettiamoci il quel tavolino lì all’angolo, io prendo un cornetto e un cappuccino, colazione all’italiana, lo vuoi anche tu? Bene ordino per due.
Allora! Sei proprio sicuro che ti va ancora di sentire le mie storie? Perfetto l’hai voluto tu, intanto facciamo colazione, uh …. Buonissimo, ci voleva …. Allora dove eravamo?
Ah sì! Mi stavo preparando per salpare, io sono stato a San Sebastian la prima volta nel 1989, dopo la laurea negli anni del terrorismo dell’Eta, c’era un clima di forte tensione sociale e un clima di declino, ma già allora le sere a San Sebastian erano dolci e misteriose.
Ecco perché questo nuovo inizio da San Sebastian, oggi è completamente cambiata, surfisti che riempiono l’oceano, turisti da ogni dove che si godono la spiaggia e gli assordanti locali dove puoi gustare calamari fritti e cozze e sentire tutto il sapore del mare.
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Sono voluto ripartire da lì, da quel popolo diverso di marinai e artigiani capaci di cavarsela da soli, l’immagine del marinaio che ha una donna in ogni porto e poi in realtà vive tutta la vita da solo, lui e il mare.
Finalmente posso parlarti di quando per la prima volta ho messo piede o meglio la barca sull’oceano e di come avventurarsi un viaggio possa semplificarti la vita, quando questa diventa ingombrante.
Non avevo nessuna esperienza di mare e procedevo lungo la costa a piccole tappe, la prima è stata Getxo, ad ogni porto che mi fermavo mi facevo vedere e consigliare dalle capitanerie, per dormire al riparo, mangiare qualcosa di caldo e conoscere un po' il posto, prima di ripartire.
Perché Getxo? Per tornare a Bilbao dove ero già stato nell’89, ho ormeggiato la barca nel porto nella baia di Biscaglia, il fiume per il primo tratto è navigabile, ma io ho preferito lasciare la barca a Getxo ed arrivare a Bilbao in metropolitana.
Di Bilbao ricordo la movida, passavo da un locale all’altro ad inseguire gli sguardi delle ragazze con gli occhi azzurri e i capelli neri, oggi saranno delle belle signore dai capelli bianchi. il
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sapore del pintxo fatto con prosciutto crudo e peperoni e il pacharan, un liquore fatto di bacche rosse.
Quando sono tornato ho trovato un neonato premio, con il quale l’associazione dei cuochi baschi ha premiato un venezuelano e in quel momento mi è venuta l’idea di provare a fare un po' di soldi per continuare il viaggio, come aiuto cuoco in qualche ristorante.
Prima sono andato a vedere lo splendido chiostro del convento di San Telmo e poi sono andato a pranzare come nell’89 da Arzak, che oggi lavora con la figlia Elena, un locale a tre stelle di cucina tradizionale e sperimentale.
In estate alberghi e pensioni hanno sempre bisogno di rinforzare il personale con lavoratori stagionali ed io poi da Arzak quando Elena era ancora una bambina, ci avevo già lavorato.
Anche stavolta la paga fu bassa e l’alloggio era ancora più stretto di quello di prima, si lavorava tantissimo ma per me era meglio, pensavo di meno a Fiorella.
Elena adesso avrà avuto quaranta due anni, formosa ma piacente e un carattere da sergente di ferro, ruvida, polemica, brontolona, però era una gran cuoca.
Io una certa competenza in cucina ce l’ho e gli facevo spesso qualche osservazione, qualche domanda, lei mi mandava sistematicamente a quel paese.
Devo dirti che ho fatto fatica a riconoscere Bilbao, oggi non vedi più le fabbriche in disarmo, la parte vecchia della città sembra sonnecchiare sulla collina, i grattaceli guizzare lungo le rive del fiume Nervion, le piazze, i viali, le calle sono costellati di aiuole
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