e panchine, in un numero enorme.
Io sono stato lì per una ventina
di giorni, nei miei momenti liberi andavo spesso a Plaza Nueva a gustarmi dei
meravigliosi pintox accompagnati da un sublime calice di vino e poi da lì
andavo a piedi a vedere la cattedrale o prendevo il tram per andare al
Guggenheim Museum.
Un meraviglioso museo bellissimo
già nell’architettura e davanti si trova il famoso Puppy il cane di fiori, uno
dei simboli più conosciuti della città, ordinata, pulita, vitale e dinamica,
dove il ritmo della vita appare molto slow.
Sulla Gran Via tra negozi e
grandi magazzini, sibilano gli avveniristici tram con l’aspetto di lunghi
bruchi, mentre flotte di persone avanzano in silenzio come sospese nel tempo,
mentre altre gustano distratte un dolcissimo gelato.
No! Non uscivo con Elena nei
momenti liberi e non ci sono andato a letto se è questo che vuoi sapere,
confesso che lavorando tutto il giorno insieme, qualche volta un pensierino ce
l’ho fatto, ma era complicato e poi se non mi odiava poco ci mancava.
Comunque non è che faccio il
cascamorto con tutte le donne, capita ogni tanto di avere una comune necessità
di sesso, tutto qua, dopo tre settimane ho fatto un po' di soldi, ho preso la
metropolitana e sono tornato a Getxo.
Getxo nasce come un paesino di
pescatori, poi diventa una località turistica e si riempie di ville in riva al
mare, la sua attrazione più nota è Puente Colgante, patriminio dell’Unesco.
Quaranta metri di travi e cavi
in ferro, un ponte lungo centocinquanta metri che unisce le due sponde,
costruito da
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un discepolo di Eiffel, io avevo
fretta di andare via, volevo girare le colonne d’ercole prima che arrivasse
l’autunno, l’oceano è già brutto in estate, figuriamoci in autunno.
Sono partito da Getxo per
arrivare a Santader, durante la navigazione un moto ondoso costante, avanzava
come la risacca in quel freddo tratto d’oceano verso la costa e poi si ritira,
le onde ripartivano e toccavano le estremità rocciose colpendo gli scogli, poi
diventano docili e improvvisamente ancora impetuose.
Come se non fosse già una
situazione romanzesca, ad assistere alle operazioni dell’oceano è comparsa una
balena, che prima guarda, sbuffa e poi se va con immenso sollievo da parte mia,
era la prima volta che mi trovavo in questa situazione.
Le onde mi avevano portato al
largo e avevo anche un po' di mal di mare, mi sono affrettato a raggiungere il
porto di Santander, prima che fosse sopraggiunta l’oscurità o non sarei sopravvissuto.
Per quanto tu possa fare teoria
e pratica nei corsi di nautica, quando ti trovi nell’oceano non sei mai
abbastanza preparato, però devo dire che alla fine sono riuscito a gestire la
situazione al meglio e senza intoppi.
Il mare ha le sue regole e una
barca è sicura solo in porto, appena arrivato e ormeggiato, sono sceso a terra
per andare in una osteria del porto, a bere un bel bicchiere di vino txakolì
rosato.
In queste osterie noti lo
spirito di libertà dei marinai, bere un bicchiere di txakolì per loro è un rito
sociale e va consumato in compagnia, senti l’odore del pesce appena seccato
tenuto nei
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magazzini e di quello arrostito
sulle graticole per strada sulla banchina.
Nell’osteria dove mi sono
fermato per mangiare e bere, si raccontava la storia di tre marinai naufragati
davanti all’isola di Tristan da Cunha con altri tredici compagni di sventura.
Lì aspettarono che passasse una
nave che li riportasse nel mondo civile e dopo quasi quattro mesi furono
imbarcati da una nave che li ha portati a Città del Capo, in attesa poi di
tornare in Europa.
Due di loro però vollero
restare, perché durante l’incendio scoppiato a bordo e causa del naufragio,
hanno fatto un voto alla madonna, che se si fossero salvati sarebbero rimasti
sull’isola.
In realtà la madonna non
c’entrava niente, in quei mesi passati sull’isola si erano innamorati di due
isolane e avevano deciso di fermarsi e vivere l’amore su un’isola povera,
impervia e faticosa.
Con loro anche un terzo naufrago
si era innamorato, ma ha deciso di tornarsene in patria dove lo aspettava la
madre ultra ottantenne, che poi è morta dopo qualche anno.
Lui raccontava sempre agli amici
di questi tre mesi d’amore e lasciava trasparire quanto fosse ancora innamorato
di quella donna, il grande rimpianto e l’invidia per gli altri due rimasti
sull’isola.
In verità l’isolana sedotta e
abbandonata, gli aveva scritto per confessargli di essere innamoratissima, ma
la madre ne veniva in possesso, le leggeva e le bruciava, senza farne mai
parola con il figlio, temendo che potesse tornare a Tristan e perderlo.
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Lui però sapeva attraverso le
lettere degli altri naufraghi alle loro famiglie, delle struggenti lettere
scritte dalla sua amata e che la madre le riceveva e le bruciava, ma l’attaccamento
per la madre gli fece vivere una vita di rimpianti e infelicità.
Qual
è la morale? Vivi la vita così come ti vieni, sicuramente non come la mia,
comunque quella sera sono rimasto a dormire in barca e il giorno dopo siccome
non era ancora previsto bel tempo, mi sono fatto un giro per Santander.
Per
prima cosa ho deciso di dedicare la mattinata alla visita della penisola della
Magdalena, uno dei posti più belli e speciali di Santander, dalla spiaggia
prima di entrare nel parco e vicino le rocce si vedono le isole di La Torre e
Horadada.
Il
parco è grandissimo e all’ingresso c’è un trenino turistico per chi non vuole
fare a piedi il percorso completo, si passa dall’imbarcadero Reale, il Faro
della Cerda, fino alla spianata del palazzo della Magdalena.
Lungo
la discesa si trovano tre caravelle autentiche che un marinaio ha donato a
Santander e che dicono essere una riproduzione di quelle di Colombo, nel mini
zoo invece ci sono molti animali marini, foche, pinguini e otarie, immersi
nell’acqua che arriva direttamente dal mare.
Era
già l’ora di pranzo, ho attraversato i giardini San Rogue per arrivare a piazza
d’Italia, dove c’è il maestoso Gran Casinò con numerosi locali all’aperto che
danno sulla spiaggia e dove ho pranzato accarezzato dalla brezza marina
profumata di salsedine.
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Dopo
pranzo ho fatto una sosta di relax al belvedere dei giardini di Piquio e poi
una passeggiata fino alla fine del parco di Mesones all’estremità della città,
dove c’è il faro di Cabo Mayor alto trenta metri.
Mentre
tornavo al porto mi accompagnava uno splendido tramonto e dopo avere passato la
sera in un’osteria del porto e prima di tornare in barca per la notte, ho
chiesto notizie alla capitaneria che mi dava l’ok per potere salpare la mattina
successiva per raggiungere La Coruna.
Sono
partito all’alba sulla lunga rotta per La Coruna navigavo sotto costa, su
quell’oceano immenso in balia delle correnti e delle onde, deve puoi smarrirti
e ritrovarti ad ogni virata anche nell’era del Gps.
A
prua tra le onde e il vento la solita compagnia dei delfini, mi hanno
accompagnato fino al porto di La Coruna, dove sfinito per il lungo viaggio ho
attraccato la barca e sono andato in cerca di un posto per mangiare.
Tornato
in barca per la notte, la mia attenzione si è concentrata sulla luce del faro,
era una curiosità strana e dire che di fari ne avevo visti, ma adesso ne ero
particolarmente attratto, così la mattina appena sveglio mi sono portato sotto
quell’imponente struttura che mi intrigava.
Appena
arrivato il guardiano del faro mi ha invitato a salire, credo che passare tutte
le giornate lassù da soli doveva essere affascinante e forse pure noioso.
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Ricordo
che dopo i convenevoli sono uscito sulla passerella in cima al faro e mi è
sembrato di volare, la torre si ergeva sull’oceano e guardavo l’ultimo galoppo dei riccioli delle onde insinuarsi tra i
faraglioni ed infrangersi sulla scogliera.
Il
mare non era in tempesta, sulla passerella il Libeccio arrivava come lamenti, poi
verso mezzogiorno cominciò un fosco Scirocco di Levante, le onde orlate di spuma
poi si trasformarono in un mare quasi piatto, che mattinata Marco!
Allora
di pranzo io e Josè Luis siamo andati insieme a mangiare a casa sua, lui era
scapolo e viveva da solo, ad accudirlo c’era una ragazza di ventotto anni che s’era
lasciata con il marito e faceva questo lavoro per mantenere lei e una bimba di due
anni.
Quanti anni aveva Josè Luis?
Trentacinque, no! non vivevano insieme, Isabel e la bambina avevano una stanzetta tutta per loro e non so sé se la intendevano, la cosa non mi interessava, io
ero preso da questa nuova “passione”: il faro.
Il pranzo era un piatto unico il lacon,
che è un prosciutto ricavato dalle zampe anteriori del maiale, che viene salato
e stagionato per un breve periodo, con i grelos, che sono i fiori delle cime di
rapa, raccolte in inverno, con del pane locale davvero squisito e del vino della casa rosso e corretto con so cosa.
Io durante il viaggio dal faro a casa
sua, mentre Isabel
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cucinava, durante e dopo il pranzo, non
ho fatto altro che chiedere notizie sui fari e sui loro guardiani.
Ci siamo seduti fuori sotto una
specie di pergola a bere una birra, mentre in casa Isabel continuava con il suo
lavoro e la piccola giocava in braccio a Josè Luis, che continuava a parlarmi
dei fari e poi mi disse:
Giulio! Stasera vieni al faro con me, voglio farti un regalo prima di
partire per Noia.
Così prima del tramonto Isabel
ci preparò dei take away con del polipo a feira,
uno squisito modo di cucinare il polipo in Spagna e una fiaschetta con il vino
rosso, ho salutato e ringraziato la bella Isabel e la piccola Maria e siamo
andati a passare la notte alla “Torre di Hèrcules”.
Come cos’era? Il faro! Ah!
Com’era Isabel? A ventotto anni le donne sono tutte belle, lei aveva i tratti
somatici marcatamente spagnoli, tipo Penelope Cruz per intenderci, vuoi sapere
anche di Josè Luis? Quello no, non ti interessa.
Piuttosto andiamo a fare una
passeggiata che mi sgranchisco un po' le gambe mentre ti racconto il resto,
allora dove eravamo? Si! Sul faro siamo arrivati al tramonto, il mare piatto
sembrava di bronzo mentre il sole scompariva all’orizzonte.
Il sereno maestoso a sera lasciò
il posto alla tramontana che soffiava da nord e frustava il mare dall’alto con
raffiche serpeggianti e irregolari, attorno alla lanterna i gabbiani veleggiano
immobili, così vicini a vetri che si potevano toccare.
La notte fu stellata e sul tardi
ho potuto vedere le costellazioni dello Scorpione e di Orione, Josè Luis mi
diceva che di fari oggi
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ne restano pochi e pochissimi
con il guardiano, sono dei beni culturali protetti, molti sono stati adibiti a
soggiorno turistico o a ristoranti.
Il regalo di Josè Luis è stata
l’aurora del mattino seguente, appena cominciò a sorgere si spense il faro,
come se si fossero passate le consegne per illuminare la terra.
L’aurora bucò la foschia ad
oriente, uno squarcio sottile si agitava per farsi strada tra le nubi, poi
scorse lenta come una sinfonia, salutata da centinaia di gabbiani, era stata la
cerimonia necessaria del risorgere del sole.
Quella visione magica del mondo,
mi fece capire cosa volevo fare da grande e del resto della mia vita, quella
aurora mi riportava ai tempi di Venezia e inesorabilmente al ricordo di
Fiorella, riempendomi comunque di gioia.
Ho salutato e ringraziato
enormemente Josè Luis per tutto quello di materiale e di spirituale che mi
aveva dato, era tardi per fare rotta verso Noia e siccome per il giorno
seguente era previsto bel tempo, ho deciso di andare a visitare l’Aquarium.
Io non sono un appassionato di
oceani o del mondo marino, sono uno curioso a cui piace conoscere e devo dirti
che davanti allo straordinario Aquarium Finisterrae, che tradotto vuol dire:
acquario alla fine del mondo, sono rimasto veramente colpito.
Questa struttura si trova sul
bordo dell’oceano Atlantico, a due passi dal faro di Josè Luis e all’interno di
questo imponente edificio ci sono varie sezioni tematiche, dalle foche grigie
ai cavallucci marini, ai polipi, alle meduse e persino gli squali.
Sempre all’interno di questo
acquario c’è la più grande sala d’osservazione sottomarina d’Europa, è nominata
sala
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Nautilus ed è decorata tipo lo
studio del capitano Nemo. L’acquario contiene quasi 5 000 000 di litri d’acqua
e oltre 50 specie di pesci, se vuoi, puoi entrare nella piscina delle carezze,
dove puoi toccare con le tue mani alcuni tipi di pesce, che so …. le stelle
marine o i rombi per esempio.
L’acquario più grande è la sala
dell’oceano Atlantico, li puoi vedere più di 500 specie marine provenienti da
questo mare, la sala ha una capienza di circa 400 persone e funziona pure come
sala da ballo.
Poi ci sono le piscine esterne
collegate direttamente con l’oceano, ti permettono di osservare i movimenti del
mare, molto suggestivo è il giardino del polipo, un acquario dedicato al
pilastro della cucina galiziana.
Si! Il polipo in Spagna e in
Galizia in particolare è come i tortellini in Emilia, comunque questo acquario
è come il Louvre, è una delle più complete e grandiose strutture del genere al
mondo e occorre un sacco di tempo per visitarla, sempre che ti voglia godere
tutto quello che ha da offrirti.
Si ma a parlare di pesce e tortellini,
vista l’ora, che ne dici di andarci a mangiare un bel risotto e una frittura di
pesce alla Playa del Sol?
Perfetto, andiamo e continuo a
raccontarti, come ti dicevo per vedere tutto ci sarebbero voluti tre giorni,
sapevo che il giorno dopo ci sarebbe stato mare buono e così ho mangiato
qualcosa e sono andato a dormire in coperta.
All’alba sono partito per Noia,
il mare alternava onde più o meno alte a secondo da dove arrivava la brezza e
alcune volte sono stato in vera difficoltà …. Paura? No! Vedi hai paura
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quando hai qualcosa da perdere,
io dopo avere perso Fiorella non ho più niente da perdere …. La vita? Io non
vivo, sopravvivo, sono cose complicate che non auguro a nessuno, ma cambiamo
argomento.
Arrivato a Noia ho ormeggiato bene la barca, perché
da diversi anni covavo il desiderio di fare il cammino di Santiago De
Compostela, anche se non sono un camminatore o un escursionista.
Ne avevo voglia e anche se non c’era nessun motivo
apparente, in realtà pensavo di darmi una specie di “punizione” per come era
finita con Fiorella, come se sentissi mia la colpa, a San Sebastian, a Biarritz, a La Coruna, ovunque c’era sempre l’indicazione per il cammino per
Santiago e così stavolta avevo deciso di farlo.
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Abbigliamento ed accessori adeguati, ho tirato un
bel respiro e ho affrontato quest’avventura, prendo un autobus ed arrivo ad
Astorga.
Arrivo in tarda serata, pernotto in un ostello con
un bagno condiviso e qui ti lascio immaginare, al risveglio ero bello carico ma
prima di imboccare il sentiero per il cammino, sono andato a vedere la
cattedrale e il palazzo Gaudì, che sinceramente meritano.
Finita la visita sono tornato indietro è ho preso
il sentiero segnalato dal cartello, parto a tutta birra e arrivo alla chiesetta
dell’Ecce Homo, però sto andando troppo veloce e così mi fermo a Santa Catalina
de Somoza, il primo paesino sul “cammino”.
Riempio la borraccia, faccio riposare bene i miei
piedi e riparto per prendermi una pausa dopo una decina di chilometri ad El
Ganso, un paese piccolo ma pulito, entro in una cantina/negozio e mangio un po'
di frutta secca, qualche biscotto, dei sali minerali e riprendo il cammino.
Non faccio neanche cinque chilometri e comincio ad
avvertire qualche fastidio ai piedi, avevo una vescica sotto la pianta del
piede, provo a camminare ancora, ma le difficoltà aumentano, diciamo che oramai
sono un uomo di mare e queste cose non sono per me, forse non sono mai state, ma
oramai ero in ballo.
Mi fermo così a Rabanal, la mia prima tappa si
conclude attorno all’una e decido di alloggiare al Guacelmo, un alberghetto ad
offerta libera, gestito da
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un gruppo di accoglienti e gentilissime signore
inglesi. Marco! Ma è possibile che tu debba ricondurre sempre tutto al sesso,
le accoglienti e gentilissime signore inglesi, erano anche vecchie, brutte e
grasse e poi il fatto di andare per mare da solo non mi fa un assatanato.
Vedi! Non so tu, ma anche per fare solo sesso deve
esserci quel attimo speciale ….
Buon giorno siamo in due, si va bene lì in
quell’angolo.
…. ma cosa c’entra che il marinaio ha una donna in
ogni porto, Marco tu vedi troppi film, ecco assaggia quest’antipasto piuttosto,
buon appetito, adesso pranziamo e poi se sei sempre convinto di continuare ad
ascoltare le mie vicissitudini continuiamo.
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