Mi sono riservato di pubblicare questa storia, proprio in questo periodo, in questi giorni di cenoni, lenticchie e zampone, ho pensato che "la mortadella", potesse essere il racconto più adeguato, non è una storiella hard come il film della Marini non è un racconto di calcio che so non vi appassiona e non è nemmeno il racconto di una abbuffata.
Allora torniamo per un attimo al mio arrivo, il primo anno a Terrasini, non voglio passare per uno sciupa femmine, ma la storia è questa ed io da grande scrittore di fama internazionale, vi vedo che vi siete girati a sghignazzare, devo descrivere i fatti, con lucida ed onesta realtà.
So che prenderò qualche scappellotto da mia moglie che mi dirà:...questo non me lo avevi raccontato..., ma sono cose del periodo avanti Cristo, volevo dire, prima dell'incontro fatale, ma il cronista che c'è in me, mi obbliga ad andare avanti fino in fondo.
Quindi il primo giorno che siamo arrivati a Terrasini, era un venerdì pomeriggio, del mese di giugno e sono venuti a salutarci e a darci il benvenuto, gli amici del collega di mio padre, che villeggiava già lì da tempo e che lo aveva indotto a mollare la villeggiatura mordi e fuggi, per una più "elegante" villeggiatura stanziale.
Fatte le presentazioni del caso, Giuseppe e Rosario di qualche anno più grandi di me, mi hanno dato appuntamento per la sera, per portarmi in giro ed iniziarmi alla movida terrasinese degli anni sessanta, in quella casa a me era toccato il lettino, nel disimpegno superiore, mentre alle mie sorelle Flora e Cettina, la cameretta accanto, che in un certo senso era riservata.
La casa era una vecchia casa di paese, sulla strada che portava al lungo mare, difronte al vecchio campo sportivo di Terrasini e poco distante dalla balera, la famosa "cantina" ed era composta con un grande stanzone all'ingresso con cucina e servizio, due alcove difronte e una scala laterale che portava sopra sul disimpegno che vi dicevo.
Perchè disimpegno, in pratica da questa stanza si andava nella stanza attigua, quella delle mie sorelle e poi salendo un paio di gradini sul terrazzo e a sua volta da li con con un'altra scala di una cinquina di scalini sul tetto-terrazzo, diciamo che la mia stanza, somigliava agli arrivi e partenze dell'aeroporto, anche perchè nel terrazzo, ci si faceva la doccia, ci si stendevano i panni e ci si arrostiva il pesce.
Cosa volete, è la mia vita, se c'è qualcuno che deve accollarsi qualche disaggio, non c'e neanche bisogno di fare la conta, ci sono io, anche se in quel caso devo dire, che il disaggio è stato ben ripagato.
Dove ero arrivato ? ... mi perdo sempre nelle descrizioni, si, sono salito a prendere possesso del mio "alloggio", mi sono sistemato qualcosa qui e là, ho fatto la doccia e in pantaloncini sono sceso nello stanzone a mangiare.
Appena ho finito sono tornato agli arrivi e partenze dove dormivo, per vestirmi, avevo appena tirato su i pantaloni e indossato la camicia, stavo abbottonandola quando ho sentito il peso di uno sguardo alle mie spalle.
Appena ho finito sono tornato agli arrivi e partenze dove dormivo, per vestirmi, avevo appena tirato su i pantaloni e indossato la camicia, stavo abbottonandola quando ho sentito il peso di uno sguardo alle mie spalle.
Mi sono girato e seduta sulla scala che portava al tetto-terrazza, c'era una ragazza con i capelli corti e anche la gonna corta, che mi guardava, io con passi felpati (avevo paura che volasse via come un uccellino), ho salito quei due o tre gradini che mi separavano dal terrazzo e andandogli incontro ci siamo salutati.
Tu chi sei ? gli chiesi pensando di avere bevuto troppo (continuavo a rubare il vino a mia sorella Cettina), e lei rispose: Rita e tu ? onestamente fin qui, sapevo del gatto con gli stivali che parlava, di un ciocco di legno che parlava, il famoso pinocchio, ma di un'allucinazione parlante no, ... io risposi, Salvo, ma qua che ci fai ? da dove vieni ? replicai.
Era la ragazza della famiglia che stava nella casa alle spalle della nostra, anche loro salendo, salendo, avano il tetto-terrazzo confinante con il nostro e siccome mi aveva visto arrivare, voleva conoscermi, siamo stati un pò a parlare, quando si sentì chiamare da suo padre, mi ha baciato e mi ha detto: ci vediamo domani sera qua, alla stessa ora, ed è scappata via.
Non ero ancora arrivato e avevo addirittura trovato la ragazza, veramente era stata lei a trovarmi, ma questo conta poco, sono uscito con i miei nuovi amici, ho conosciuto un sacco di ragazzi e ragazze, ballare, bere, fumare (sigarette), mi sentivo nel paradiso terrestre, io che a Palermo passavo il mio tempo libero all'angolo del corso Olivuzza o a Mondello con l'autostop e il costume affittato.
Dal quel giorno sole, spiaggia, mare, belle ragazze, tamburelli, partita scapoli e ammogliati, sarde (questo lo approfondiremo dopo), fidanzatina (anche questo poi l'approfondiremo), ballare, birra, strusciate, spaghettata di mezzanotte e ramino pokerato fino alle 4 del mattino, ma un ragazzo di 16/17 anni, che cosa poteva volere di più.
In quel periodo, c'era una pesca di pesce azzurro eccezionale e per ospitalità i vicini, mogli o madri dei pescatori, ci recapitavano ogni giorno, sacchetti pieni di sarde, per noi che venivamo dalla città, tutto questo pesce era una manna (a me il pesce non è mai piaciuto), così, pasta con le sarde, fritturina di sarde per secondo, sarde in salamoia per l'inverno e poi la sera, sarde in tutti i modi, possibili e immaginabili, tutti giorni.
A me che il pesce non piaceva, dopo i primi sacrifici, cominciai a lamentarmi con mia madre, lei mi diceva: .... no ne che li possiamo buttare, a Palermo farebbero carte false per avere e gratis tutto questo ben di Dio, così io ad un certo punto gli dissi: bene, voi mangiatevi pure il ben di Dio, ma io pesce no ne mangio più e capisco che papà non mi comprerà di certo la carne, ma anche la mortadella per me va bene, sempre meglio delle sarde.
Erano passati una ventina di giorni da quando ci eravamo trasferiti per le vacanze e sistematicamente tutte le sere, appena finito di mangiare, salivo in terrazza a pomiciare (l'approfondimento) con la mia ragazza, fin tanto che non sentivamo la voce del padre che la chiamava, lei andava via e io andavo alla "cantina" a ballare.
Allora, facciamo quindi .... più o meno al ventunesimo giorno, mia madre trovò il coraggio e mi comprò la mortadella, 100 grammi tutti per me, ci siamo seduti a tavola, tutti con il loro piatto di sarde davanti ed io finalmente fuori dal coro con la mia bella mortadella.
Cominciavo a pregustare la serata, l'odore della mortadella superava quello delle sarde fritte, il pane caldo e fragrante mi stimolava le papille, avevo già un languorino che non vi dico e poi pensavo anche a cosa mi aspettava, dopo quella meraviglia di insaccato con i pistacchi, quando.....mio padre.
Ma questo perchè non mangia il pesce come noi ! dice rivolgendosi a mia madre e lei: perchè a lui il pesce non piace, subito calò un velo di tensione, tutti con gli occhi bassi sui piatti, il silenzio era interrotto solo dall'esercizio di togliere le spine alle sarde.
Qui, si mangia tutti la stessa cosa per tutti, tuonò mio padre, tolse la mortadella dal tavolo e mi disse mettendomi un piatto di sarde davanti: chistu c'è su vuoi (questo c'è se lo vuoi) ed non ti alzi se non hai finito di mangiare.
Tutti mangiavano freneticamente e con gli occhi bassi, io pensavo che non avrei mangiato quel pesce neanche morto, e poi avevo un appuntamento importante su in terrazzo, presi la mafalda (pane tradizionale palermitano), la tagliai, ho appoggiato sul pane aperto, delle fette immaginarie di mortadella, richiusi il pane (vuoto) e lo addentai.
Tutti mi guardavano sott'occhio temendo l'ira di mio padre, io imperterrito continuavo a mangiare il pane con la finta mortadella e ad un tratto, feci come per liberare la bocca, da un finto filo che solitamente resta attaccato sulla fetta, un altro morso e poi con la rotazione della mano destra, esprimevo tutta la mia compiacenza.
Fù a quel punto che mio padre scoppiò a ridere, prese l'involucro con la mortadella, la mise sul mio piatto e sempre ridendo mi disse: .... ma va.....va .... e tutti li a ridere, ho finito di mangiare il pane, adesso con l'affettato vero e mi sono precipitato all'appuntamento sul tetto.
Quel gesto ironico, poteva scatenare l'inferno, invece ci ha liberato dalla schiavitù della cena con le sarde, è sempre stato il mio modo di affrontare la vita, così con ironia, da quel giorno mio padre la mattina andando a lavorare a Palermo, si portava e divideva i sacchetti con le sarde, ad amici e parenti, facendo la loro e la nostra felicità.
Non ero ancora arrivato e avevo addirittura trovato la ragazza, veramente era stata lei a trovarmi, ma questo conta poco, sono uscito con i miei nuovi amici, ho conosciuto un sacco di ragazzi e ragazze, ballare, bere, fumare (sigarette), mi sentivo nel paradiso terrestre, io che a Palermo passavo il mio tempo libero all'angolo del corso Olivuzza o a Mondello con l'autostop e il costume affittato.
Dal quel giorno sole, spiaggia, mare, belle ragazze, tamburelli, partita scapoli e ammogliati, sarde (questo lo approfondiremo dopo), fidanzatina (anche questo poi l'approfondiremo), ballare, birra, strusciate, spaghettata di mezzanotte e ramino pokerato fino alle 4 del mattino, ma un ragazzo di 16/17 anni, che cosa poteva volere di più.
In quel periodo, c'era una pesca di pesce azzurro eccezionale e per ospitalità i vicini, mogli o madri dei pescatori, ci recapitavano ogni giorno, sacchetti pieni di sarde, per noi che venivamo dalla città, tutto questo pesce era una manna (a me il pesce non è mai piaciuto), così, pasta con le sarde, fritturina di sarde per secondo, sarde in salamoia per l'inverno e poi la sera, sarde in tutti i modi, possibili e immaginabili, tutti giorni.
A me che il pesce non piaceva, dopo i primi sacrifici, cominciai a lamentarmi con mia madre, lei mi diceva: .... no ne che li possiamo buttare, a Palermo farebbero carte false per avere e gratis tutto questo ben di Dio, così io ad un certo punto gli dissi: bene, voi mangiatevi pure il ben di Dio, ma io pesce no ne mangio più e capisco che papà non mi comprerà di certo la carne, ma anche la mortadella per me va bene, sempre meglio delle sarde.
Erano passati una ventina di giorni da quando ci eravamo trasferiti per le vacanze e sistematicamente tutte le sere, appena finito di mangiare, salivo in terrazza a pomiciare (l'approfondimento) con la mia ragazza, fin tanto che non sentivamo la voce del padre che la chiamava, lei andava via e io andavo alla "cantina" a ballare.
Allora, facciamo quindi .... più o meno al ventunesimo giorno, mia madre trovò il coraggio e mi comprò la mortadella, 100 grammi tutti per me, ci siamo seduti a tavola, tutti con il loro piatto di sarde davanti ed io finalmente fuori dal coro con la mia bella mortadella.
Cominciavo a pregustare la serata, l'odore della mortadella superava quello delle sarde fritte, il pane caldo e fragrante mi stimolava le papille, avevo già un languorino che non vi dico e poi pensavo anche a cosa mi aspettava, dopo quella meraviglia di insaccato con i pistacchi, quando.....mio padre.
Ma questo perchè non mangia il pesce come noi ! dice rivolgendosi a mia madre e lei: perchè a lui il pesce non piace, subito calò un velo di tensione, tutti con gli occhi bassi sui piatti, il silenzio era interrotto solo dall'esercizio di togliere le spine alle sarde.
Qui, si mangia tutti la stessa cosa per tutti, tuonò mio padre, tolse la mortadella dal tavolo e mi disse mettendomi un piatto di sarde davanti: chistu c'è su vuoi (questo c'è se lo vuoi) ed non ti alzi se non hai finito di mangiare.
Tutti mangiavano freneticamente e con gli occhi bassi, io pensavo che non avrei mangiato quel pesce neanche morto, e poi avevo un appuntamento importante su in terrazzo, presi la mafalda (pane tradizionale palermitano), la tagliai, ho appoggiato sul pane aperto, delle fette immaginarie di mortadella, richiusi il pane (vuoto) e lo addentai.
Tutti mi guardavano sott'occhio temendo l'ira di mio padre, io imperterrito continuavo a mangiare il pane con la finta mortadella e ad un tratto, feci come per liberare la bocca, da un finto filo che solitamente resta attaccato sulla fetta, un altro morso e poi con la rotazione della mano destra, esprimevo tutta la mia compiacenza.
Fù a quel punto che mio padre scoppiò a ridere, prese l'involucro con la mortadella, la mise sul mio piatto e sempre ridendo mi disse: .... ma va.....va .... e tutti li a ridere, ho finito di mangiare il pane, adesso con l'affettato vero e mi sono precipitato all'appuntamento sul tetto.
Quel gesto ironico, poteva scatenare l'inferno, invece ci ha liberato dalla schiavitù della cena con le sarde, è sempre stato il mio modo di affrontare la vita, così con ironia, da quel giorno mio padre la mattina andando a lavorare a Palermo, si portava e divideva i sacchetti con le sarde, ad amici e parenti, facendo la loro e la nostra felicità.
Questa storia è stra bella....la conoscevo già ma raccontata da te e tutta un'altra cosa.:-)
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