domenica 22 novembre 2015

.... ammutta, Giacomino.

Vi dicevo quindi della "lambretta", adesso che era arrivata e dopo tutti quei chili di cambiali firmate, non potevi non andare al mare, giusto come si vedeva proprio nei films di quel periodo, papà con i pantaloni lunghi della domenica, canottiera bianca a coste dentro i pantaloni, fazzoletto in testa a modo di copricapo annodato sulle quattro punte. 
Mia sorella Flora davanti a mio padre in piedi sulla pedaliera della lambretta, dietro e in mezzo tra i due sedili, mio padre ci metteva un cuscino e li ci salivo io a cavalcioni, con il fracassamento dei miei piccoli "zebedei", chiudeva la carovana mia madre seduta di fianco, che con il braccio destro cingeva con forza mio padre, schiacciandomi la faccia sulle sue spalle e con il braccio sinistro, teneva stretta mia sorella Cettina, sempre quella del vino.
La lambretta nella parte posteriore sopra la targa, aveva la ruota di scorta e sopra un piccolo portabagagli, dove avevamo sistemato, le tovaglie, i panini con la frittata e un po tutto quello che poteva servirci in una giornata passata al mare, e qui ora voi mi chiederete dove andavamo al mare.
Beh, quando la finite di fare domande è sempre tardi, non è che posso sapere tutto, comunque quando sono diventato più grande ho capito che forse andavamo dalle parti di Isola o di Sferracavallo, perchè vorrei vedere voi con la faccia schiacciata contro le spalle di mio padre e non avendo ancora conseguito a quell'età la laurea in geografia, se riuscivate a raccapezzarvi.
Io come tutti i bambini stavo sempre in acqua, uscivo e mangiavo e quando non potevo tornare in acqua per via della digestione, andavo sulla piattaforma adibita a bar-trattoria, a prendere il fresco sotto il cannucciato e a raccogliere i tappi delle bibite, eravamo così poveri che dove andavamo non c'erano neanche conchiglie da raccogliere.
Passarono un due, tre anni e mio padre fece il grande salto (tranquilli non ha confessato di essere gay), si è affitt
ato la casa al secondo piano sotto i nonni, una bella casa grande, l'equivalente delle due case di sopra, quelle dei nonni, in questa casa c'era un piccolo ingresso, a sinistra una stanza grande (ed arrivò pure il salotto), un corridoio con una stanza dove si sistemarono i nostri lettini, una piccola cucina soggiorno e la camera dei miei.
Mio padre adesso non era più un idraulico povero, così dopo qualche tempo ci trasferimmo in un'altra casa, lontana qualche chilometro dai nonni, una casa più bella, più moderna e più grande, fu allora che mio padre si comprò pure la macchina, la prima versione della renault 4.
Avevano già da qualche anno realizzato l'aeroporto di punta Raisi e di conseguenza l'autostrada, la spiaggia di Isola ormai ci stava stretta e una volta che avevamo la macchina e la possibilità economica, arrivavamo fino a Villagrazia di Carini, per andare al mare al "Lido Azzurro", quanto più moderno e alla moda per gli anni sessanta.
Come da consuetudine in quei periodi, ci si portava a mare tutti i parenti che riuscivano ad entrare in una macchina, riempivamo in cofano davanti (il motore era dietro) con: ombrelloni, telo di copertura tra le due gabbine e lo spiazzo davanti, sedioline apri e chiudi, salvagenti, secchielli e palette, tovaglie, stoviglie, teglie con le pasta al forno e le melanzane alla parmigiana, panini, cotolette e frutta, sul portabagagli: canotto e dentro la "bagnina" con un quarto di blocco di ghiaccio intero e le bibite.
Ma ci andavano tutte queste cose ? Mizzica con queste domande....., ci andavano, state tranquilli che ci andavano, l'anguria però la mettevamo davanti, tra le gambe di mia madre, ma passiamo alla formazione dei passeggeri dentro la macchina;
Davanti papà al volante con un cappello bianco da ammiraglio (aveva soppiantato il fazzoletto), mamma con Patrizia l'ultima arrivata in braccio (mia madre aveva sempre una bambina in braccio), nel sedile dietro a sinistra il famoso zio Tanino, con me in braccio, in mezzo la zia Anna Maria con mia sorella Flora in braccio e per finire a destra lo zio Giacomino con in braccio mia sorella Cettina, quella del vino.
La macchina comunque era di seconda o terza mano, era il primo tipo come vi ho detto e allora tutte le macchine con il caldo e stracariche, quando si fermano non mantenevano il minimo e si spegnevano continuamente, quella in modo particolare, poi in quel periodo come adesso del resto, per arrivare a Capaci si facevano 10/15 metri e ci si fermava per qualche minuto, si ripartiva e ci si fermava, questa macchina tutte le volte che si fermava, si spegneva e bisognava spingerla e così......
.....mio padre appena la macchina doveva ripartire, si girava sulla destra guardando mio zio Giacomino (e poi vi spiego), e gli diceva: ......ammutta Giacomino, mio zio usciva con mia sorella in braccio, la poggiava sul sedile, spingeva per un paio di metri la macchina con tutto quel ben di dio dentro e poi di corsa di corsa doveva risalire, perchè la macchina non si poteva fermare, la raggiungeva, sempre correndo prendeva mia sorella in braccio, si sedeva a volo e chiudeva lo sportello, quando....
.....le macchine si fermavano di nuovo e ricominciava tutto da capo, per non dire che la maggior parte delle volte, spingendo, gli cadevano le esportazioni con filtro e i cerini, dal taschino della camicia, quindi appena la macchina partiva, doveva prima tornare indietro a recuperare la "tabaccheria", evitando fra l'altro di finire investito e poi triplicare la corsa per raggiungerci ed effettuare tutte le operazioni d'imbarco.
Lo so cosa state pensando, anch'io mi sarei tolto il vizio di fumare e meno male che la macchina aveva 4 sportelli, se no vi immaginate......
Foto tratte dal web.

mercoledì 18 novembre 2015

Come eravamo.

Correvano gli anni sessanta, quelli del bum economico e mio padre abituato com'era stato da sempre, a fare i conti con una dignitosa povertà, ha dato libero sfogo un po così come tanti in quei tempi, alla voglia arretrata di benessere, la prima cosa che ha segnato l'arrivo del benessere a casa mia, che poi era casa di mia nonna Concetta, è stata la televisione.
Mio padre come tutti aveva fatto la "fuitina", ovvero era scappato con mia madre e per il "finto disonore" si sono dovuti sposare, in realtà lo facevano tutti per superare le difficoltà economiche del matrimonio o quelle legate alla reticenza delle famiglie.
Due persone che facevano la "fuitina" principalmente per questioni economiche, andavano ad abitare a casa dei genitori di uno di loro, i miei andarono ad abitare dai nonni materni, non distantissimi comunque da quelli paterni, visto che stavano sullo stesso pianerottolo.
I programmi televisivi di allora andavano in onda solo la sera, nel pomeriggio alle 17,00 andava in visione su l'unico canale esistente la tivù dei ragazzi, con un pupazzo animato chiamato "Picchio cannocchiale", un programma di mezz'ora e poi la sera attorno alle 7 e 30 irradiavano il telegiornale e subito dopo "Carosello", uno spazio pubblicitario  di una ventina di minuti e infine l'unico programma di intrattenimento.
L'intrattenimento era vario, una sera una commedia, un'altra un film, il sabato il varietà, il famosissimo "Musichiere" e invece la domenica che non c'era la tivù dei ragazzi, prima del telegiornale trasmettevano un tempo di una partita di calcio e comunque tutto rigorosamente in bianco e nero.
La casa di mia nonna dove abitavo era piccolissima, due belle stanze grandi e un bagno-cucina, io giocavo sempre sul pianerottolo perchè dentro non c'era spazio, il pianerottolo in pratica univa le abitazioni delle due nonne, le porte allora erano sempre aperte e sembrava come se fosse tutta una casa.
Nella casa dove abitavo si entrava subito in una stanza, appoggiato al muro sulla destra c'era il lettino di mio zio Giacomino, fratello di mia madre, in fondo il letto dei miei nonni, a destra l'armadio e a sinistra il comò, davanti ai piedi del letto il tavolo e a sinistra della stanza la credenza, sulla parete accanto alla porta l'appendi panni e nella porta accanto il bagno-cucina.
Nell'altra stanza c'era la camera da letto dei miei, a destra il lettino tra comodino e comò, dove dormiva mia sorella Cettina, quella del vino esatto, a sinistra l'armadio, ai piedi del letto e davanti ad una parete di compensato che delimitava un camerino, dormivamo come si dice da noi "testa e piedi", io e mia sorella Flora, l'aristocratica, bravi.
Il bagno-cucina, aveva in mezzo una grande vasca rettangolare, sempre piena d'acqua perchè non avevamo un recipiente e poi faceva da frigorifero, li dentro mettevamo al fresco l'anguria, le bottiglie d'acqua, insomma tutto quello che si poteva tenere fresco, la carne no perchè non la mangiavamo quasi mai e nemmeno il latte, perchè la mattina passava il pastore con il latte appena munto e non ne restava mai, anzi.
In questa grande vasca che in dialetto si chiamava "pila", attingevamo con una caraffa l'acqua per scaricare il water, che a sua volta stava alla destra sotto la finestra, a sinistra poggiata su una lastra di marmo "la balata", c'erano i fuochi, accanto l'olio e le spezie, sopra sul muro erano appese le stoviglie e sotto al marmo, c'era la pattumiera, i detersivi, lo straccio e così via.
Tutto questo quadretto per dirvi quanto eravamo poveri e comunque felici di quel poco, i miei giocattoli erano i pezzettini di legno che lo zio Giacomino mi portava la sera dal lavoro, io ero tra i bambini più fortunati, perchè stavo in casa con uno zio falegname, altri non potevano giocare nemmeno con quei pezzetti di legno.
Ma in tutta quella povertà, arrivò pure da noi il bum economico (effimero comunque), mio padre che faceva l'idraulico (povero), firmò 28 metri cubi di cambiali (forse ne deve ancora pagare qualcuna), però a casa nostra arrivarono la "lambretta" e udite, udite, la televisione.
La lambretta, sarà lo spunto per la prossima storia, invece la televisione arrivò come uno status simbolo, la piazzammo accanto alla credenza e vicina al balcone, così la sera appena finito di mangiare, in verità non è che ci volesse tanto tempo a mangiare pane e mortadella (anche questo sarà spunto per un'altra storia), i grandi si sedevano sul letto di zio Giacomino a mò di divano, i bambini con una coperta sedevamo per terra.
La televisione era un forte richiamo, anche per i vicini che non sapevano firmare le cambiali, si invitavano sedie alla mano, per vedere gli sceneggiati del tenente Sheridan, il "lascia o raddoppia", il "musichiere", ma quello che attirava i vicini in maniera massiccia e se vogliamo anche in modo spudorato, era il festival di San Remo.
Oltre a noi, 5 grandi e 3 bambini, entrava la nonna Flora, il nonno Turiddu e la zia Anna Maria, saliva la "zà Ciccina Marrone", scendeva la signora Cannatella con le figlie Mimma e Norina, saliva la "Chianiota" (nata a Piana degli Albanesi) con Agnese e da qualche ventina di metri più in là, arrivava lo zio Matteo e la zia Pina.
Ora non chiedetemi dove mettevamo tutta quella gente e in quella unica stanza già stipata di suo, perchè se no mi viene il mal di testa.

Foto tratte dal web.

venerdì 6 novembre 2015

.... tutta la verità, lo giuro.

Prima di questi appunti, che poi magari un giorno deciderò di pubblicare, ho scritto di alcuni episodi che mi sono capitati, durante la mia più che trentennale attività di allenatore dilettante e che forse includerò a seguito di questo "libretto", ma essendo che molti di voi non siete dentro l'ambiente, non risulterebbero fruibili a tutti, però almeno uno ve lo voglio raccontare.
Ai miei tempi dopo la scuola, non esistevano molti modi per divertirsi o passare il tempo, altre alternative ad un pallone da "scalciare" per ore ed ore non ce ne erano, quindi io come tutti i ragazzini di quel periodo, mi sono fatto tutta la trafila di calciatore dilettante.
Io sono cresciuto almeno in altezza, prima dei miei coetanei ed essendo il più lungo e il più scarso, mi hanno messo in porta, così ho fatto il portiere, più per imposizione che scelta, per tutta la gioventù, anche quando i miei compagni sono cresciuti e mi hanno superato in altezza.
Comunque dopo avere giocato un anno come "giovanissimo", avevo tredici anni circa, con la squadra del Falsomiele, ho fatto i due anni successivi negli allievi del Palermo, dove si sono accorti che non ero buono per questo ruolo e forse per il gioco del calcio in generale, io non riuscivo a capirlo o forse non lo volevo capire.
Ho pure provato a cambiare sport, accanto allo stadio l'attuale "Barbera", c'era e ancora c'è il circolo del tennis, tutte le volte che passavo da la, entravo e chiedevo sempre come potevo fare per giocare a tennis, la risposta era la stessa che Eddie Murphy, ha ricevuto nella scena del film " un piedipiatti a Beverly Hills", mi mettevano fuori senza degnarmi di una risposta, poi con il tempo ho capito.
Ho continuato comunque a giocare e dopo un altro anno di allievi con la squadra "Imperatore", mi sono trasferito in prima categoria nel Terrasini, allora rappresentava l'eccellenza di adesso, e mi davano 6000 lire al mese, quando il biglietto dell'autobus costava 50 lire e un pacchetto di sigarette costava 120 lire, ci pagavo il pulman o il treno per andare agli allenamenti e alle partite, ma mi restavano quelli per le sigarette e per il "corriere dello sport" del lunedì mattina.
Seguì comunque una carriera in discesa, un po perchè ero scarso, un po perchè ogni tanto dovevo studiare, poi arrivò il militare, poi ho conosciuto mia moglie e poi ho cominciato a lavorare e così a 27 anni, quando mi sono sposato, ho deciso di smettere e appendere così come si dice, le scarpe al chiodo.
La mia lontananza dai campi da gioco però durò pochissimo, ero scarso è vero ma per me era una passione, mia moglie a cui il calcio non è mai piaciuto, in quella occasione si dimostrò caritatevole, si è accorta che per me era difficile smettere così di colpo e mi spinse se non altro ad allenarmi, è un po come quando uno vuole smettere di fumare, bisogna farlo drasticamente, quell'atto caritatevole fu il mio successo e la sua rovina.
Appena arrivato al campo, mi offrirono di allenare una squadra di ragazzini ed io accettai quasi senza pensarci, cominciò così un "carriera" lunga 35 anni e ricca di successi, consensi e soddisfazioni, in pratica mi sono preso da allenatore (dilettantistico), quello che nel calcio non ho avuto come giocatore.
Sono stati anni sempre in crescendo e dopo una decina d'anni da allenatore quasi abusivo, mi sono dovuto mettere in regola e frequentare il corso per ottenere l'abilitazione e così mi sono presentato alla selezione per l'ammissione, la prima volta sono stato esaminato dal Signor Savarese che non mi ha ammesso al corso.
Io dovevo prendere almeno il primo brevetto, oppure dovevo smettere, così mi sono ripresentato e stavolta il Signor Brucato mi ha ammesso e l'istruttore Catania, un ex calciatore di serie a mi ha promosso e dato il brevetto. 
La carriera sempre fra i dilettanti andava alla grande, ma con quel brevetto, potevo allenare solo i ragazzini, così decisi di passare al brevetto superiore, che mi permetteva di allenare fino alla soglia dei semi professionisti.
A Palermo non c'era posto, così decisi di iscrivermi al corso a Valderici in provincia di Trapani, il fatto che avevo già un brevetto e di avere conseguito dei più che buoni risultati sul campo, non contava, dovevo essere esaminato e ammesso al corso, indovinate chi mi doveva esaminare ? proprio quello che state pensando e che vi sembra impossibile, il Signor Savarese.
Ho imprecato in religioso silenzio, sperando che con tutta la gente che esaminava in tutta Italia, non si sarebbe più ricordato di me dopo 4 anni e invece, nella moltitudine: Crisà ci stai provando ancora !? ma chi è stato così incosciente da darti il brevetto ?
Ho capito che avevo perso una giornata e 30 mila lire di benzina, avevo già deciso di smettere ma ho sostenuto lo stesso l'esame come tutti gli altri e alla fine, come potete immaginare non sono stato ammesso, me ne stavo facendo già una ragione, i dirigenti della federazione che mi stimavano e mi stimano ancora oggi, hanno fatto di tutto per fargli capire, che avevo già dimostrato da 15 anni di avere le competenze e che si trattava solo di una formalità.
Alla fine quasi per abbandono, mi venne incontro e mi disse con fare minaccioso:.... e va bene, hanno vinto loro, ti ammetto, ma farò in modo che non ti diano il brevetto, eviterò che tu possa fare dei disastri nel calcio.
Ebbene, ho continuato per altri 20 e a parte questi due anni sabbatici non ho ancora finito, ho continuato a vincere campionati, alcuni uno di fila all'altro, ho stabilito record d'imbattibilità lunghi 3 stagioni, non so se si è sbagliato lui o mi sono sbagliato io a continuare, una cosa è certa, non ho voluto più fare corsi, il rischio di incontrarlo ancora non l'avrei sopportato.
Vi ho abituato bene con le storie precedenti e queste sono un po da serie minore, ma sono servite per far gustare meglio le successive.