martedì 29 dicembre 2015

La mortadella.

Mi sono riservato di pubblicare questa storia, proprio in questo periodo, in questi giorni di cenoni, lenticchie e zampone, ho pensato che "la mortadella", potesse essere il racconto più adeguato, non è una storiella hard come il film della Marini non è un racconto di calcio che so non vi appassiona e non è nemmeno il racconto di una abbuffata.
Allora torniamo per un attimo al mio arrivo, il primo anno a Terrasini, non voglio passare per uno sciupa femmine, ma la storia è questa ed io da grande scrittore di fama internazionale, vi vedo che vi siete girati a sghignazzare, devo descrivere i fatti, con lucida ed onesta realtà.
So che prenderò qualche scappellotto da mia moglie che mi dirà:...questo non me lo avevi raccontato..., ma sono cose del periodo avanti Cristo, volevo dire, prima dell'incontro fatale, ma il cronista che c'è in me, mi obbliga ad andare avanti fino in fondo.
Quindi il primo giorno che siamo arrivati a Terrasini, era un venerdì pomeriggio, del mese di giugno e sono venuti a salutarci e a darci il benvenuto, gli amici del collega di mio padre, che villeggiava già lì da tempo e che lo aveva indotto a mollare la villeggiatura mordi e fuggi, per una più "elegante" villeggiatura stanziale.
Fatte le presentazioni del caso, Giuseppe e Rosario di qualche anno più grandi di me, mi hanno dato appuntamento per la sera, per portarmi in giro ed iniziarmi alla movida terrasinese degli anni sessanta, in quella casa a me era toccato il lettino, nel disimpegno superiore, mentre alle mie sorelle Flora e Cettina, la cameretta accanto, che in un certo senso era riservata.
La casa era una vecchia casa di paese, sulla strada che portava al lungo mare, difronte al vecchio campo sportivo di Terrasini e poco distante dalla balera, la famosa "cantina" ed era composta con un grande stanzone all'ingresso con cucina e servizio, due alcove difronte e una scala laterale che portava sopra sul disimpegno che vi dicevo.
Perchè disimpegno, in pratica da questa stanza si andava nella stanza attigua, quella delle mie sorelle e poi salendo un paio di gradini sul terrazzo e a sua volta da li con con un'altra scala di una cinquina di scalini sul tetto-terrazzo, diciamo che la mia stanza, somigliava agli arrivi e partenze dell'aeroporto, anche perchè nel terrazzo, ci si faceva la doccia, ci si stendevano i panni e ci si arrostiva il pesce.
Cosa volete, è la mia vita, se c'è qualcuno che deve accollarsi qualche disaggio, non c'e neanche bisogno di fare la conta, ci sono io, anche se in quel caso devo dire, che il disaggio è stato ben ripagato.
Dove ero arrivato ? ... mi perdo sempre nelle descrizioni, si, sono salito a prendere possesso del mio "alloggio", mi sono sistemato qualcosa qui e là, ho fatto la doccia e in pantaloncini sono sceso nello stanzone a mangiare.
Appena ho finito sono tornato agli arrivi e partenze dove dormivo, per vestirmi, avevo appena tirato su i pantaloni e indossato la camicia, stavo abbottonandola quando ho sentito il peso di uno sguardo alle mie spalle.
Mi sono girato e seduta sulla scala che portava al tetto-terrazza, c'era una ragazza con i capelli corti e anche la gonna corta, che mi guardava, io con passi felpati (avevo paura che volasse via come un uccellino), ho salito quei due o tre gradini che mi separavano dal terrazzo e andandogli incontro ci siamo salutati.
Tu chi sei ? gli chiesi pensando di avere bevuto troppo (continuavo a rubare il vino a mia sorella Cettina), e lei rispose: Rita e tu ? onestamente fin qui, sapevo del gatto con gli stivali che parlava, di un ciocco di legno che parlava, il famoso pinocchio, ma di un'allucinazione parlante no, ... io risposi, Salvo, ma qua che ci fai ? da dove vieni ? replicai.
Era la ragazza della famiglia che stava nella casa alle spalle della nostra, anche loro salendo, salendo, avano il tetto-terrazzo confinante con il nostro e siccome mi aveva visto arrivare, voleva conoscermi, siamo stati un pò a parlare, quando si sentì chiamare da suo padre, mi ha baciato e mi ha detto: ci vediamo domani sera qua, alla stessa ora, ed è scappata via.
Non ero ancora arrivato e avevo addirittura trovato la ragazza, veramente era stata lei a trovarmi, ma questo conta poco, sono uscito con i miei nuovi amici, ho conosciuto un sacco di ragazzi e ragazze, ballare, bere, fumare (sigarette), mi sentivo nel paradiso terrestre, io che a Palermo passavo il mio tempo libero all'angolo del corso Olivuzza o a Mondello con l'autostop e il costume affittato.
Dal quel giorno sole, spiaggia, mare, belle ragazze, tamburelli, partita scapoli e ammogliati, sarde (questo lo approfondiremo dopo), fidanzatina (anche questo poi l'approfondiremo), ballare, birra, strusciate, spaghettata di mezzanotte e ramino pokerato fino alle 4 del mattino, ma un ragazzo di 16/17 anni, che cosa poteva volere di più.
In quel periodo, c'era una pesca di pesce azzurro eccezionale e per ospitalità i vicini, mogli o madri dei pescatori, ci recapitavano ogni giorno, sacchetti pieni di sarde, per noi che venivamo dalla città, tutto questo pesce era una manna (a me il pesce non è mai piaciuto), così, pasta con le sarde, fritturina di sarde per secondo, sarde in salamoia per l'inverno e poi la sera, sarde in tutti i modi, possibili e immaginabili, tutti giorni.
A me che il pesce non piaceva, dopo i primi sacrifici, cominciai a lamentarmi con mia madre, lei mi diceva: .... no ne che li possiamo buttare, a Palermo farebbero carte false per avere e gratis tutto questo ben di Dio, così io ad un certo punto gli dissi: bene, voi mangiatevi pure il ben di Dio, ma io pesce no ne mangio più e capisco che papà non mi comprerà di certo la carne, ma anche la mortadella per me va bene, sempre meglio delle sarde.
Erano passati una ventina di giorni da quando ci eravamo trasferiti per le vacanze e sistematicamente tutte le sere, appena finito di mangiare, salivo in terrazza a pomiciare (l'approfondimento) con la mia ragazza, fin tanto che non sentivamo la voce del padre che la chiamava, lei andava via e io andavo alla "cantina" a ballare.
Allora, facciamo quindi .... più o meno al ventunesimo giorno, mia madre trovò il coraggio e mi comprò la mortadella, 100 grammi tutti per me, ci siamo seduti a tavola, tutti con il loro piatto di sarde davanti ed io finalmente fuori dal coro con la mia bella mortadella.
Cominciavo a pregustare la serata, l'odore della mortadella superava quello delle sarde fritte, il pane caldo e fragrante mi stimolava le papille, avevo già un languorino che non vi dico e poi pensavo anche a cosa mi aspettava, dopo quella meraviglia di insaccato con i pistacchi, quando.....mio padre.
Ma questo perchè non mangia il pesce come noi ! dice rivolgendosi a mia madre e lei: perchè a lui il pesce non piace, subito calò un velo di tensione, tutti con gli occhi bassi sui piatti, il silenzio era interrotto solo dall'esercizio di togliere le spine alle sarde.
Qui, si mangia tutti la stessa cosa per tutti, tuonò mio padre, tolse la mortadella dal tavolo e mi disse mettendomi un piatto di sarde davanti: chistu c'è su vuoi (questo c'è se lo vuoi) ed non ti alzi se non hai finito di mangiare.
Tutti mangiavano freneticamente e con gli occhi bassi, io pensavo che non avrei mangiato quel pesce neanche morto, e poi avevo un appuntamento importante su in terrazzo, presi la mafalda (pane tradizionale palermitano), la tagliai, ho appoggiato sul pane aperto, delle fette immaginarie di mortadella, richiusi il pane (vuoto) e lo addentai.
Tutti mi guardavano sott'occhio temendo l'ira di mio padre, io imperterrito continuavo a mangiare il pane con la finta mortadella e ad un tratto, feci come per liberare la bocca, da un finto filo che solitamente resta attaccato sulla fetta, un altro morso e poi con la rotazione della mano destra, esprimevo tutta la mia compiacenza.
Fù a quel punto che mio padre scoppiò a ridere, prese l'involucro con la mortadella, la mise sul mio piatto e sempre ridendo mi disse: .... ma va.....va .... e tutti li a ridere, ho finito di mangiare il pane, adesso con l'affettato vero e mi sono precipitato all'appuntamento sul tetto.
Quel gesto ironico, poteva scatenare l'inferno, invece ci ha liberato dalla schiavitù della cena con le sarde, è sempre stato il mio modo di affrontare la vita, così con ironia, da quel giorno mio padre la mattina andando a lavorare a Palermo, si portava e divideva i sacchetti con le sarde, ad amici e parenti, facendo la loro e la nostra felicità. 

venerdì 18 dicembre 2015

Non sono nato allenatore.

Come vi dicevo, ogni tanto una storia di calcio la devo mettere, giusto per allungare il sugo, il fatto che ho allenato per trentaquattro anni, lascerebbe pensare che ho sempre fatto l'allenatore, invece quattro calci ad un pallone li ho dati pure io.
Nello spiazzo davanti alla mia scuola elementare, ci riunivamo tutti i ragazzi del quartiere, i più grandi facevano la conta e formavano le squadre, io che per quell'età dodici-tredici anni, ero il più alto e anche il più scarso, finivo per andare in porta, come succede in qualsiasi latitudine di questa terra.
Quello piano piano, diventò il mio ruolo e così dall'asfalto della piazza, passai a giocare nei campi polverosi, un campo vero con tanto di porte, nel mio rione abitava il presidente di una squadra di borgata il Falsomiele e così mi prese nell'organico dei giovanissimi.
La mia prima partita fu traumatica, intanto perchè mi fecero giocare con i grandi, ero emozionatissimo tanto che i ricordi sono ancora più confusi e non solo dal tempo, i calciatori in campo, venivano sempre allo scontro e si verificavano continui screzi tra loro e l'arbitro, ero onestamente un po deluso.
Ad un certo punto del secondo tempo, dopo l'ennesimo screzio, ho visto l'arbitro correre inseguito da un calciatore, con alcuni che provavano a fermare l'aggressore e chi invece si scagliava con questi alimentando la rissa, io ero in porta proprio vicino agli spogliatoi, stava arrivando l'arbitro e l'inseguitore teneva in mano un coltello.
Più veloce della luce me la sono data a gambe e mi sono infilato nel primo spogliatoio aperto che c'era e che si richiuse velocemente dietro me, si accese la luce e chiusi la dentro c'ero io e l'arbitro, forse scelta sbagliata, subito si sentì battere sulla porta di ferro, urla e grida fuori da essa che durarono un bel po.
Io ero spaventato, ad un tratto ci fu silenzio, pochi secondi e si udì la voce del mio presidente che ci rincuorava e ci invitava ad uscire, che era tutto finito.
Sono entrato nel mio spogliatoio e con gli altri ragazzi più piccoli, abbiamo preso velocemente gli indumenti e ancora vestiti da calciatori siamo scappati, abbiamo preso in quelle condizioni il primo autobus che passava e siamo andati a rivestirci nello spiazzo antistante la scuola.
Nei giorni a seguire, il presidente ci rassicurò che il calcio non era quello e siamo tornati a giocare, l'anno successivo mio padre mi portò negli allievi del Palermo, tutta un'altra cosa, il più lungo (ma nel frattempo gli altri erano cresciuti e mi avevano pure superato) e il più scarso aveva fatto "strada", per modo di dire.
Mi allenavo allo stadio, veramente mi ci spogliavo solamente perchè facevamo gli allenamenti in uno spiazzo la vicino, Di Bella l'allenatore del Palermo di allora, non voleva che si rovinasse il manto erboso, così (neanche allora c'era un centro sportivo) dalla "primavera" in giù, si faceva allenamento fuori e le partite le facevamo in un bel campetto in erba nella borgata di Vergine Maria.
Avevo abbandonato la sacca e le scarpe chiodate che mi aveva regalato mio zio Giacomino e la maglietta con i pantaloncini fatti da mia madre, con i resti delle stoffe, perchè mi davano tutto al campo, tute, magliette, scarpe, riciclavano il materiale che i calciatori della prima squadra smetteva.
Sia per andare al campo per le partite, che per le trasferte andavamo in pulman e poi ogni mese avevamo un rimborso spese per i soldi dell'autobus di due mila lire al mese, qualcosa come 35/40 euro d'adesso, con la prospettiva di allenarsi con quei professionisti, con cui ti incontravi negli spogliatoi, Reja per esempio. 
Negli allievi del Palermo sono stato per due anni, allora gli anni degli allievi erano tre e il terzo anno l'ho fatto nella squadra "Imperatore", da li sono passato nella Juniores del Terrasini, ben presto il secondo portiere della prima squadra, che militava in prima categoria, ha avuto un diverbio con l'allenatore ed è andato via, decretando di fatto il mio passaggio come secondo in prima squadra.
La prima categoria di allora era un po come l'eccellenza di adesso, una categoria appena sotto al semiprofessionismo, tant'è che vi giocano calciatori che poi sarebbero diventati professionisti, come Trapani che giocò poi come portiere nel Palermo.
Belle soddisfazioni e poi anche li mi pagavano, mi davano un rimborso spese di 1500 lire a settimana, circa 75/80 euro al mese, per il treno che mi portava agli allenamenti e alle partite (certo a quei tempi e poi con la lira il potere d’acquisto era differente).
A Terrasini andavo a fare gli allenamenti col treno e la domenica col pulman di linea, tornavo sempre con la “porsche” del portiere titolare Nicola Oddo , uno che stava bene di famiglia e poi lui era un “semiprofessionista” perché era in prestito dal Bagheria serie D, e mi ricordo che facevamo da Terrasini al corso Olivuzza (eravamo entrambi di quel rione), in dodici minuti esatti e non c'erano tutte le curve che incontravo col pulman, lui le prendeva tutte nell'altra corsia.
Comunque giocare a Terrasini era una faticaccia, così sono tornato a giocare (senza soldi) a Palermo, nella Juniores della Jeve Olivuzza, dove mio zio Matteo era il vice presidente e il presidente era quel presidente della vecchia squadra del Falsomiele.
Devo dire che ci hanno provato in tutti i modi a farmi desistere dal praticare questo sport, il coltello di Falsomiele e le corse spericolate (ho visto la morte con gli occhi) con la Porsche di ritorno da Terrasini, ma io e la mia scarsezza abbiamo vinto.
Foto tratte dal web:

martedì 1 dicembre 2015

Tutti al mare.

La domenica estiva e quindi di mare, cominciava il sabato pomeriggio, mio padre era a lavoro e mia madre sempre alle prese con bambini piccoli e faccende di casa, così delegava il compito di fare la spesa a me e a mia sorella Flora, rispettivamente 10 e 8 anni.
Lei scriveva su un foglio di quaderno la spesa e noi andavamo a comprarla, la merceria non era distante, saranno stati una ventina di metri da casa, ma allora come ora, il sabato pomeriggio andavano tutti a fare la spesa e nella confusione, noi che eravamo piccolini, per furbizia dei grandi e per la nostra statura, non ci vedeva mai nessuno.
Così passavamo ore in merceria a fare la spesa, era estenuante, noi volevamo andare a giocare e invece dovevamo stare lì, così capitava spesso di distrarci e di perdere i soldi che ci aveva dato la mamma, a parte che venivamo rimproverati, sempre comunque e lo stesso, perchè o ci davano le cose sbagliate, o nel tragitto merceria-casa, facevamo un buco nella carta del concentrato di pomodoro (la salsina) e ne portavamo a casa sempre la metà.
Poi tutta questa spesa pesante per due bambini, la dovevamo salire fini al terzo piano senza ascensore, quando arrivava il sabato pomeriggio era bello perchè l'indomani si andava al mare, ma era un incubo, che continuava già dalla domenica mattina presto.
La domenica mi madre si alzava prestissimo, i condimenti li aveva preparato già il sabato sera quasi notte e di buon mattino preparava la pasta al forno, le melanzane, le cotolette, preparava tutti i pacchi e pacchetti.
Ci svegliava a turno e ci aiutava a lavarci, si alzava anche mio padre e io andavo in gelateria a comprare il gelato, che mi metteva già nei bicchieri che mi portavo da casa, poi un paio di filoni ancora caldi, un pezzo per uno e facevamo colazione a pane e gelato.
Mia madre sbrigava le ultime cose ed io con mio padre, mastello al seguito, andavamo a fare la fila per il ghiaccio, un altra rottura e appena arrivati a casa si caricava la macchina, li trovavamo tutto "l'equipaggio" e si partiva.
Arrivati al "Lido Azzurro" attraverso tutte quelle traversie che vi ho raccontanto, mio padre ci divideva il "carico" ed andava a posteggiare, tornando alla gabina quando le operazioni di "sbarco" erano già concluse e con le sole chiavi della macchina in mano.
La nostra gabina era l'ultima la numero 40, alla 39 c'era una cugina di mia madre la zia Gianna e alla 38 dei lontani parenti di mio padre i Mocada, noi avevamo l'ultima gabina perchè accanto c'era lo spazio dove sistemare tutto quello che ci portavamo dietro, canotto in primis.
Sulle gabine poi ci torniamo, ma passiamo al sottoscritto, a me toccava come ultimo viaggio, il mastello con il ghiaccio e le bibite e a parte che pesava un accidenti e poi portarlo sulla sabbia per tutto quel tragitto, vi lascio immaginare, ma la cosa che mi dava un fastidio enorme, era il fatto che mi prendessero per uno che vendeva le bibite sulla spiaggia, la cosa mi faceva vergognare ed incazzare da morire.
Mio padre con lo zio Nino il marito della cugina di mia madre e il Signor Moncada, montavano i teloni per fare ombra fra le gabine e davanti le porte delle stesse, sistemavano ombrelloni e tavolini, mentre la mamma, la zia Gianna e la signora "Monreale" preparavano da mangiare, tutti i bambini invece di corsa in acqua.
Lo zio Tanino che veniva al mare solo per stare in compagnia e giocare a carte, si sedeva all'ombra a leggere in corriere dello sport, lo zio Giacomino faceva la corte a Enza Moncada, motivo per cui "ammuttava" con piacere la macchina, il suo grande amore perso, perso perchè gli dava continuamente un bel due di picche, la zia Anna seduta sulla tovaglia sulla spiaggia, fissava un giovanotto palestrato che stava su di una barca sull'arenile, barca che comunque non era la sua.
Tutti i bambini si accorgevano dei due che si guardavano intensamente e appassionatamente e correvano a dirlo a mia madre che rispondeva: zitti, zitti, non gli e lo fate sentire a Mario, mio padre, perchè avrebbe fatto una scenata di gelosia a sua sorella, la zia Anna.
Lo zio Giacomino nonostante i rifiuti, continuava a provarci con Enza, del resto come dargli torto, occhi azzurri, capelli biondi leggermente mossi, un bichini mozzafiato che negli anni 60 era quanto dire e un "davanzale" che faceva invidia all' attrice più prosperosa del tempo, onestamente anche se avevo 10 anni, piaceva tanto anche a me.
Al bichini di Enza faceva da contr'altare lo Nino, un uomo bellissimo, un attore, tanto somigliate ad Amedeo Nazzari, con un costume di lana ascellare, che ancora oggi dopo avere trovato una spiegazione a quasi tutto, non riesco a capire come potesse sopportarlo, bagnato e con quel caldo.
I figli della zia Giovanna erano diciamo un po antipatici, Angelino il più piccolo li batteva tutti, passava il tempo a fare il bagno, usciva dall'acqua e mangiava, ancora il bagno, usciva e mangiava, lui stesso in dialetto siciliano ripeteva: ....fazzu u bagnu e manciu, fazzu u bagnu e manciu...., ma la cosa antipatica non era il fatto che mangiasse così tanto, quanto che a tutti piaceva la pasta al forno di mia madre e noi toccava poi quella brutta di sua madre.
Andare al mare era un supplizio, dovevi sopportare tutte queste situazioni, per non dirvi che tutto il giorno mi mandavano a comprare: la birra, le sigarette, i gelati eccetera, io mi lamentavo perchè dovevo farmi 40 gabine, sotto il sole e con la sabbia rovente, per consolarmi e a quel punto non potevo più lamentarmi, mi davano la compagnia, voi pensate Enza, magari, mi accompagnava suo fratello Renato.
Renato era un bambino della mia stessa età, solo che era trasparente, in che senso, era magro e scuro tipo Biafra e tutti al passare, lo chiamavano e lo facevano avvicinare, per spiegare a figli l'anatomia, vi giuro non c'era bisogno di radiografia, le parti anatomiche si intravedevano che era un piacere e andare a comprare qualcosa al bar con lui, per me diventava scocciante, sarò stato insofferente, ma permettete !
La gente all'imbrunire andava via, noi accendevamo il lumi a gas e cenavamo in spiaggia, io ero stanchissimo, tutto il giorno sotto il sole, senza il riposino pomeridiano, scottati e salati, dopo cena si sbaraccava e caricata la macchina si ripartiva per la città, mio zio Giacomino "ammuttava" e mia zia Anna si faceva venire il torcicollo, per guardare dietro il suo giovanotto aitante, che ci seguiva in lambretta.
Arrivati a casa, mio padre scaricava la macchina, e a noi toccava portare tutto al terzo piano senza ascensore, canotto sgonfio compreso, meno male che non c'era più la pasta al forno, la parmigiana, le cotolette e che il mastello era vuoto, senza il quarto di blocco di ghiaccio, mio padre andava a posteggiare e si ritirava con le sole chiavi della macchina.

domenica 22 novembre 2015

.... ammutta, Giacomino.

Vi dicevo quindi della "lambretta", adesso che era arrivata e dopo tutti quei chili di cambiali firmate, non potevi non andare al mare, giusto come si vedeva proprio nei films di quel periodo, papà con i pantaloni lunghi della domenica, canottiera bianca a coste dentro i pantaloni, fazzoletto in testa a modo di copricapo annodato sulle quattro punte. 
Mia sorella Flora davanti a mio padre in piedi sulla pedaliera della lambretta, dietro e in mezzo tra i due sedili, mio padre ci metteva un cuscino e li ci salivo io a cavalcioni, con il fracassamento dei miei piccoli "zebedei", chiudeva la carovana mia madre seduta di fianco, che con il braccio destro cingeva con forza mio padre, schiacciandomi la faccia sulle sue spalle e con il braccio sinistro, teneva stretta mia sorella Cettina, sempre quella del vino.
La lambretta nella parte posteriore sopra la targa, aveva la ruota di scorta e sopra un piccolo portabagagli, dove avevamo sistemato, le tovaglie, i panini con la frittata e un po tutto quello che poteva servirci in una giornata passata al mare, e qui ora voi mi chiederete dove andavamo al mare.
Beh, quando la finite di fare domande è sempre tardi, non è che posso sapere tutto, comunque quando sono diventato più grande ho capito che forse andavamo dalle parti di Isola o di Sferracavallo, perchè vorrei vedere voi con la faccia schiacciata contro le spalle di mio padre e non avendo ancora conseguito a quell'età la laurea in geografia, se riuscivate a raccapezzarvi.
Io come tutti i bambini stavo sempre in acqua, uscivo e mangiavo e quando non potevo tornare in acqua per via della digestione, andavo sulla piattaforma adibita a bar-trattoria, a prendere il fresco sotto il cannucciato e a raccogliere i tappi delle bibite, eravamo così poveri che dove andavamo non c'erano neanche conchiglie da raccogliere.
Passarono un due, tre anni e mio padre fece il grande salto (tranquilli non ha confessato di essere gay), si è affitt
ato la casa al secondo piano sotto i nonni, una bella casa grande, l'equivalente delle due case di sopra, quelle dei nonni, in questa casa c'era un piccolo ingresso, a sinistra una stanza grande (ed arrivò pure il salotto), un corridoio con una stanza dove si sistemarono i nostri lettini, una piccola cucina soggiorno e la camera dei miei.
Mio padre adesso non era più un idraulico povero, così dopo qualche tempo ci trasferimmo in un'altra casa, lontana qualche chilometro dai nonni, una casa più bella, più moderna e più grande, fu allora che mio padre si comprò pure la macchina, la prima versione della renault 4.
Avevano già da qualche anno realizzato l'aeroporto di punta Raisi e di conseguenza l'autostrada, la spiaggia di Isola ormai ci stava stretta e una volta che avevamo la macchina e la possibilità economica, arrivavamo fino a Villagrazia di Carini, per andare al mare al "Lido Azzurro", quanto più moderno e alla moda per gli anni sessanta.
Come da consuetudine in quei periodi, ci si portava a mare tutti i parenti che riuscivano ad entrare in una macchina, riempivamo in cofano davanti (il motore era dietro) con: ombrelloni, telo di copertura tra le due gabbine e lo spiazzo davanti, sedioline apri e chiudi, salvagenti, secchielli e palette, tovaglie, stoviglie, teglie con le pasta al forno e le melanzane alla parmigiana, panini, cotolette e frutta, sul portabagagli: canotto e dentro la "bagnina" con un quarto di blocco di ghiaccio intero e le bibite.
Ma ci andavano tutte queste cose ? Mizzica con queste domande....., ci andavano, state tranquilli che ci andavano, l'anguria però la mettevamo davanti, tra le gambe di mia madre, ma passiamo alla formazione dei passeggeri dentro la macchina;
Davanti papà al volante con un cappello bianco da ammiraglio (aveva soppiantato il fazzoletto), mamma con Patrizia l'ultima arrivata in braccio (mia madre aveva sempre una bambina in braccio), nel sedile dietro a sinistra il famoso zio Tanino, con me in braccio, in mezzo la zia Anna Maria con mia sorella Flora in braccio e per finire a destra lo zio Giacomino con in braccio mia sorella Cettina, quella del vino.
La macchina comunque era di seconda o terza mano, era il primo tipo come vi ho detto e allora tutte le macchine con il caldo e stracariche, quando si fermano non mantenevano il minimo e si spegnevano continuamente, quella in modo particolare, poi in quel periodo come adesso del resto, per arrivare a Capaci si facevano 10/15 metri e ci si fermava per qualche minuto, si ripartiva e ci si fermava, questa macchina tutte le volte che si fermava, si spegneva e bisognava spingerla e così......
.....mio padre appena la macchina doveva ripartire, si girava sulla destra guardando mio zio Giacomino (e poi vi spiego), e gli diceva: ......ammutta Giacomino, mio zio usciva con mia sorella in braccio, la poggiava sul sedile, spingeva per un paio di metri la macchina con tutto quel ben di dio dentro e poi di corsa di corsa doveva risalire, perchè la macchina non si poteva fermare, la raggiungeva, sempre correndo prendeva mia sorella in braccio, si sedeva a volo e chiudeva lo sportello, quando....
.....le macchine si fermavano di nuovo e ricominciava tutto da capo, per non dire che la maggior parte delle volte, spingendo, gli cadevano le esportazioni con filtro e i cerini, dal taschino della camicia, quindi appena la macchina partiva, doveva prima tornare indietro a recuperare la "tabaccheria", evitando fra l'altro di finire investito e poi triplicare la corsa per raggiungerci ed effettuare tutte le operazioni d'imbarco.
Lo so cosa state pensando, anch'io mi sarei tolto il vizio di fumare e meno male che la macchina aveva 4 sportelli, se no vi immaginate......
Foto tratte dal web.

mercoledì 18 novembre 2015

Come eravamo.

Correvano gli anni sessanta, quelli del bum economico e mio padre abituato com'era stato da sempre, a fare i conti con una dignitosa povertà, ha dato libero sfogo un po così come tanti in quei tempi, alla voglia arretrata di benessere, la prima cosa che ha segnato l'arrivo del benessere a casa mia, che poi era casa di mia nonna Concetta, è stata la televisione.
Mio padre come tutti aveva fatto la "fuitina", ovvero era scappato con mia madre e per il "finto disonore" si sono dovuti sposare, in realtà lo facevano tutti per superare le difficoltà economiche del matrimonio o quelle legate alla reticenza delle famiglie.
Due persone che facevano la "fuitina" principalmente per questioni economiche, andavano ad abitare a casa dei genitori di uno di loro, i miei andarono ad abitare dai nonni materni, non distantissimi comunque da quelli paterni, visto che stavano sullo stesso pianerottolo.
I programmi televisivi di allora andavano in onda solo la sera, nel pomeriggio alle 17,00 andava in visione su l'unico canale esistente la tivù dei ragazzi, con un pupazzo animato chiamato "Picchio cannocchiale", un programma di mezz'ora e poi la sera attorno alle 7 e 30 irradiavano il telegiornale e subito dopo "Carosello", uno spazio pubblicitario  di una ventina di minuti e infine l'unico programma di intrattenimento.
L'intrattenimento era vario, una sera una commedia, un'altra un film, il sabato il varietà, il famosissimo "Musichiere" e invece la domenica che non c'era la tivù dei ragazzi, prima del telegiornale trasmettevano un tempo di una partita di calcio e comunque tutto rigorosamente in bianco e nero.
La casa di mia nonna dove abitavo era piccolissima, due belle stanze grandi e un bagno-cucina, io giocavo sempre sul pianerottolo perchè dentro non c'era spazio, il pianerottolo in pratica univa le abitazioni delle due nonne, le porte allora erano sempre aperte e sembrava come se fosse tutta una casa.
Nella casa dove abitavo si entrava subito in una stanza, appoggiato al muro sulla destra c'era il lettino di mio zio Giacomino, fratello di mia madre, in fondo il letto dei miei nonni, a destra l'armadio e a sinistra il comò, davanti ai piedi del letto il tavolo e a sinistra della stanza la credenza, sulla parete accanto alla porta l'appendi panni e nella porta accanto il bagno-cucina.
Nell'altra stanza c'era la camera da letto dei miei, a destra il lettino tra comodino e comò, dove dormiva mia sorella Cettina, quella del vino esatto, a sinistra l'armadio, ai piedi del letto e davanti ad una parete di compensato che delimitava un camerino, dormivamo come si dice da noi "testa e piedi", io e mia sorella Flora, l'aristocratica, bravi.
Il bagno-cucina, aveva in mezzo una grande vasca rettangolare, sempre piena d'acqua perchè non avevamo un recipiente e poi faceva da frigorifero, li dentro mettevamo al fresco l'anguria, le bottiglie d'acqua, insomma tutto quello che si poteva tenere fresco, la carne no perchè non la mangiavamo quasi mai e nemmeno il latte, perchè la mattina passava il pastore con il latte appena munto e non ne restava mai, anzi.
In questa grande vasca che in dialetto si chiamava "pila", attingevamo con una caraffa l'acqua per scaricare il water, che a sua volta stava alla destra sotto la finestra, a sinistra poggiata su una lastra di marmo "la balata", c'erano i fuochi, accanto l'olio e le spezie, sopra sul muro erano appese le stoviglie e sotto al marmo, c'era la pattumiera, i detersivi, lo straccio e così via.
Tutto questo quadretto per dirvi quanto eravamo poveri e comunque felici di quel poco, i miei giocattoli erano i pezzettini di legno che lo zio Giacomino mi portava la sera dal lavoro, io ero tra i bambini più fortunati, perchè stavo in casa con uno zio falegname, altri non potevano giocare nemmeno con quei pezzetti di legno.
Ma in tutta quella povertà, arrivò pure da noi il bum economico (effimero comunque), mio padre che faceva l'idraulico (povero), firmò 28 metri cubi di cambiali (forse ne deve ancora pagare qualcuna), però a casa nostra arrivarono la "lambretta" e udite, udite, la televisione.
La lambretta, sarà lo spunto per la prossima storia, invece la televisione arrivò come uno status simbolo, la piazzammo accanto alla credenza e vicina al balcone, così la sera appena finito di mangiare, in verità non è che ci volesse tanto tempo a mangiare pane e mortadella (anche questo sarà spunto per un'altra storia), i grandi si sedevano sul letto di zio Giacomino a mò di divano, i bambini con una coperta sedevamo per terra.
La televisione era un forte richiamo, anche per i vicini che non sapevano firmare le cambiali, si invitavano sedie alla mano, per vedere gli sceneggiati del tenente Sheridan, il "lascia o raddoppia", il "musichiere", ma quello che attirava i vicini in maniera massiccia e se vogliamo anche in modo spudorato, era il festival di San Remo.
Oltre a noi, 5 grandi e 3 bambini, entrava la nonna Flora, il nonno Turiddu e la zia Anna Maria, saliva la "zà Ciccina Marrone", scendeva la signora Cannatella con le figlie Mimma e Norina, saliva la "Chianiota" (nata a Piana degli Albanesi) con Agnese e da qualche ventina di metri più in là, arrivava lo zio Matteo e la zia Pina.
Ora non chiedetemi dove mettevamo tutta quella gente e in quella unica stanza già stipata di suo, perchè se no mi viene il mal di testa.

Foto tratte dal web.

venerdì 6 novembre 2015

.... tutta la verità, lo giuro.

Prima di questi appunti, che poi magari un giorno deciderò di pubblicare, ho scritto di alcuni episodi che mi sono capitati, durante la mia più che trentennale attività di allenatore dilettante e che forse includerò a seguito di questo "libretto", ma essendo che molti di voi non siete dentro l'ambiente, non risulterebbero fruibili a tutti, però almeno uno ve lo voglio raccontare.
Ai miei tempi dopo la scuola, non esistevano molti modi per divertirsi o passare il tempo, altre alternative ad un pallone da "scalciare" per ore ed ore non ce ne erano, quindi io come tutti i ragazzini di quel periodo, mi sono fatto tutta la trafila di calciatore dilettante.
Io sono cresciuto almeno in altezza, prima dei miei coetanei ed essendo il più lungo e il più scarso, mi hanno messo in porta, così ho fatto il portiere, più per imposizione che scelta, per tutta la gioventù, anche quando i miei compagni sono cresciuti e mi hanno superato in altezza.
Comunque dopo avere giocato un anno come "giovanissimo", avevo tredici anni circa, con la squadra del Falsomiele, ho fatto i due anni successivi negli allievi del Palermo, dove si sono accorti che non ero buono per questo ruolo e forse per il gioco del calcio in generale, io non riuscivo a capirlo o forse non lo volevo capire.
Ho pure provato a cambiare sport, accanto allo stadio l'attuale "Barbera", c'era e ancora c'è il circolo del tennis, tutte le volte che passavo da la, entravo e chiedevo sempre come potevo fare per giocare a tennis, la risposta era la stessa che Eddie Murphy, ha ricevuto nella scena del film " un piedipiatti a Beverly Hills", mi mettevano fuori senza degnarmi di una risposta, poi con il tempo ho capito.
Ho continuato comunque a giocare e dopo un altro anno di allievi con la squadra "Imperatore", mi sono trasferito in prima categoria nel Terrasini, allora rappresentava l'eccellenza di adesso, e mi davano 6000 lire al mese, quando il biglietto dell'autobus costava 50 lire e un pacchetto di sigarette costava 120 lire, ci pagavo il pulman o il treno per andare agli allenamenti e alle partite, ma mi restavano quelli per le sigarette e per il "corriere dello sport" del lunedì mattina.
Seguì comunque una carriera in discesa, un po perchè ero scarso, un po perchè ogni tanto dovevo studiare, poi arrivò il militare, poi ho conosciuto mia moglie e poi ho cominciato a lavorare e così a 27 anni, quando mi sono sposato, ho deciso di smettere e appendere così come si dice, le scarpe al chiodo.
La mia lontananza dai campi da gioco però durò pochissimo, ero scarso è vero ma per me era una passione, mia moglie a cui il calcio non è mai piaciuto, in quella occasione si dimostrò caritatevole, si è accorta che per me era difficile smettere così di colpo e mi spinse se non altro ad allenarmi, è un po come quando uno vuole smettere di fumare, bisogna farlo drasticamente, quell'atto caritatevole fu il mio successo e la sua rovina.
Appena arrivato al campo, mi offrirono di allenare una squadra di ragazzini ed io accettai quasi senza pensarci, cominciò così un "carriera" lunga 35 anni e ricca di successi, consensi e soddisfazioni, in pratica mi sono preso da allenatore (dilettantistico), quello che nel calcio non ho avuto come giocatore.
Sono stati anni sempre in crescendo e dopo una decina d'anni da allenatore quasi abusivo, mi sono dovuto mettere in regola e frequentare il corso per ottenere l'abilitazione e così mi sono presentato alla selezione per l'ammissione, la prima volta sono stato esaminato dal Signor Savarese che non mi ha ammesso al corso.
Io dovevo prendere almeno il primo brevetto, oppure dovevo smettere, così mi sono ripresentato e stavolta il Signor Brucato mi ha ammesso e l'istruttore Catania, un ex calciatore di serie a mi ha promosso e dato il brevetto. 
La carriera sempre fra i dilettanti andava alla grande, ma con quel brevetto, potevo allenare solo i ragazzini, così decisi di passare al brevetto superiore, che mi permetteva di allenare fino alla soglia dei semi professionisti.
A Palermo non c'era posto, così decisi di iscrivermi al corso a Valderici in provincia di Trapani, il fatto che avevo già un brevetto e di avere conseguito dei più che buoni risultati sul campo, non contava, dovevo essere esaminato e ammesso al corso, indovinate chi mi doveva esaminare ? proprio quello che state pensando e che vi sembra impossibile, il Signor Savarese.
Ho imprecato in religioso silenzio, sperando che con tutta la gente che esaminava in tutta Italia, non si sarebbe più ricordato di me dopo 4 anni e invece, nella moltitudine: Crisà ci stai provando ancora !? ma chi è stato così incosciente da darti il brevetto ?
Ho capito che avevo perso una giornata e 30 mila lire di benzina, avevo già deciso di smettere ma ho sostenuto lo stesso l'esame come tutti gli altri e alla fine, come potete immaginare non sono stato ammesso, me ne stavo facendo già una ragione, i dirigenti della federazione che mi stimavano e mi stimano ancora oggi, hanno fatto di tutto per fargli capire, che avevo già dimostrato da 15 anni di avere le competenze e che si trattava solo di una formalità.
Alla fine quasi per abbandono, mi venne incontro e mi disse con fare minaccioso:.... e va bene, hanno vinto loro, ti ammetto, ma farò in modo che non ti diano il brevetto, eviterò che tu possa fare dei disastri nel calcio.
Ebbene, ho continuato per altri 20 e a parte questi due anni sabbatici non ho ancora finito, ho continuato a vincere campionati, alcuni uno di fila all'altro, ho stabilito record d'imbattibilità lunghi 3 stagioni, non so se si è sbagliato lui o mi sono sbagliato io a continuare, una cosa è certa, non ho voluto più fare corsi, il rischio di incontrarlo ancora non l'avrei sopportato.
Vi ho abituato bene con le storie precedenti e queste sono un po da serie minore, ma sono servite per far gustare meglio le successive.

venerdì 30 ottobre 2015

Sapore di sale.

Adesso non pensate che voglia fare il "fighettone", ma la mia vita non è stata, sempre e solo disgraziata, non è stata solo gite o viaggi interminabili o tutta vomito e casse da morto e poi non sono stato sempre così brutto, anch'io sono stato bello e impossibile, nel senso che era impossibile rimorchiare qualcuna.
Vero è che qualche "scampolo" me lo sono pure fatto, ma la vita da play boy allora era impossibile, non era come adesso, capisco che non fregherà niente a nessuno delle mie avventure amorose, ma non c'è niente da fare, vi tocca leggere o passare alla storia successiva, mi dispiace.
A proposito, per chi non fosse un assiduo frequentatore dell'accademia della crusca palermitana, lo "scampolo" è una avventura amorosa, lo sapevo, adesso se era rimasto qualche lettore, ho perso pure quello, io comunque lo scrivo lo stesso, ma solo per amor proprio, voi andate pure alla storia successiva.
Erano i primi anni di villeggiatura a Terrasini, anzi forse il primo, perchè poi ho conosciuto una ragazzina con i capelli lunghi e neri e stiamo insieme da più di quarantanni, quindi diciamo che erano gli anni "pre mia moglie", si, perchè giusto per intenderci, la storia si divide in ere, che so..., c'è quella avanti cristo, quella dopo cristo e quella "pre mia moglie".
Quindi avevo conosciuto dei ragazzi più o meno della mia stessa età e una realtà diversa da quella a cui ero abituato in città, era la villeggiatura che si vedeva nei film, una cosa nuova, bella, in spiaggia dalla mattina alla sera, sulla terrazza dello "chalet" seduto sotto il sole filtrato dell'incannucciato a fumare e bere birra, davanti al jukebox con tutte quelle ragazze in bichini, un sogno.
Le giornate scorrevano piacevolmente monotone, già alle 10 eravamo in spiaggia, bagno e partita a tamburelli, poi ancora bagno, attorno all'ora di pranzo si saliva allo "chalet" (oggi Azzolini beach), per intrecciare qualche movimento romantico per la serata, bagno e a casa a mangiare e riposare, poi sul mangiare vi racconto una cosa, tanto lo so che vi siete fermati a leggerlo.
Nel pomeriggio dopo il riposino, ancora in spiaggia, bagno, tamburelli, tintarella con la ragazza conosciuta la mattina allo chalet, lei prendeva il sole da tutti i lati, io solo di dietro perchè stato prono accanto a lei a sussurrare, mi preparavo la strada e prima di tornare a casa per sera, partita di calcio scapoli contro ammogliati,
Arrivati a casa, doccia, cena e via alla discoteca "la cantina" (palazzo D'Aumale), i meno giovani come me la ricorderanno di certo, per continuare il corteggiamento con la ragazza di prima e magari stavolta, la buio, in qualche caletta del lungo mare di cala rossa....., la nottata finiva sempre a casa di uno degli amici, con una spaghettata e una scala 40, per rientrare attorno alle cinque del mattino.
Per rimorchiare si rimorchiava, altro chè se si rimorchiava, certo spesso la "spaghettata" la facevamo in bianco, ma qualcosa sempre si concludeva, una mattina mentre stavamo giocando a tamburelli, lo chalet si è riempito in maniera particolare e non riuscivamo a capire il perchè, finita la partita e dopo il bagno, siamo andati come solito allo chalet anche noi.
C'erano due ragazze francesi e tutti le circondavano, belle, delicate, francesi insomma, meglio così, c'erano dei tavolini liberi e ci siamo seduti a fumare e a bere birra come al solito e senza essere disturbati.
La giornata è passata come le altre e la sera a ballare alla "cantina", io in quei giorni stavo con Emanuela, be! stavo....era la ragazza con cui prendevo il sole di dietro, ma non avevo ancora fatto nulla, Gianni e Rosario invece in quel periodo, non erano iscritti in nessuna lista di collocamento, praticamente a spasso.
La serata andava avanti tra birra e sigarette, ogni tanto si faceva un ballo, così con qualcuna, Emanuela era tornata per qualche giorno a Palermo e quindi anch'io ero momentaneamente a spasso, in un tavolo c'erano sempre le due francesi, con un nugolo di spasimanti attorno, ancora più numeroso.
Gianni guardava e ci diceva: guardate la, dobbiamo fare sempre la figura, dei siciliani non ha mai visto una donna e ad un certo punto parlando e disquisendo, Gianni dice a Rosario: scommettiamo il conto finale che io e Salvo ci andiamo e ci balliamo ? 
Rosario sbellicandosi dalle risate ci rispose: ma se non hanno voluto ballare con nessuno, adesso si mettono a ballare con voi, accettò la scommessa, Gianni mi fece un cenno con la testa e partiamo per andare a prenderci un bel due di picche, invece alla nostra richiesta di ballare, si alzarono e ballarono con noi, per tutta la serata.
Eravamo al settimo cielo, avevamo risparmiato di pagare il conto e lasciato tutti stucco facendo un figurone e poi ci eravamo "collocati" e che collocazione, solo che ne io ne lui sapevamo una parola di francese, sembravamo Totò e Peppino, noio...vulet...doman,,,e così via, loro scuotevano la testa e basta.
Le abbiamo accompagnato allo chalet dove alloggiavano, provando disperatamente durante la strada di imbastire una discussione, ma niente, appena le abbiamo lasciate, le pacche e dammi il cinque non si contavano, io in quel momento ho avuto una genialata. 
Mia sorella aveva studiato francese alle medie, ora appena arrivo a casa disse a Gianni, la sveglio e mi faccio fare una lezione di francese per domani e così alle due di notte, vado nella stanza di mia sorella è la sveglio per farmi fare un corso accelerato di francese.
Non riuscivo a tenerla sveglia e gli chiedevo la traduzione di questo o di quell'altro, non ne che conoscesse chi sa cosa, però l'indomani al mare sapevo: quelle heure est il ? ; je m'appelle ; comment tu t'appelles, ma non avevamo concluso nulla, non ci capivano e poi la discussione dopo due minuti era finita e ora ?
Non ci restava allora che allungare le mani, loro molto graziosamente ci respingevano, così abbiamo fatto il bagno insieme, preso il sole insieme, noi sempre sulle spalle e parlato, io con Gianni e le francesi tra di loro.
La sera siamo tornati alla "cantina", le abbiamo trovate la, sempre circondate, ma le abbiamo portato al nostro tavolo, un figurone bis, e così ci siamo messi a ballare e mentre ballavo è arrivata Emanuela, allora non c'erano i cellulari e a quel punto finito di ballare con la francese, sono andato ad invitare la palermitana, faceva come una pazza e io li  a spiegargli mentre ballavamo, che si trattava di una mia cugina che mi rompeva terribilmente, ma che ero stato costretto a portarla a ballare.
Passavo da Emanuela alla francese, ballavo un po con una e un po con l'altra, anche la francese mi faceva capire: chi è quella ragazza ? io a gesti e in francese maccheronico, cercavo di spiegargli mentendo spudoratamente anche a lei, che era mia cugina e che ero obbligato a farla ballare.
L'indomani non prendevo più il sole sulle spalle, ne con la francese e ne con la palermitana, per un periodo la spaghettata la facevo in bianco, però vedeteci il lato positivo, finalmente ho preso il sole integrale, con il costume chiaramente, Gianni poi l'ha pagata, ma quella è un'altra storia.
Foto tratte dal web.

giovedì 22 ottobre 2015

.... ma vuje a tenite a fame ? 2

Non è la sagra del signore degli anelli, la storia era lunga e ho voluto dividerla  in due parti, prometto che dopo di questa non ci sarà ....ma vuje a tenite a fame 3.
Quindi eravamo arrivati al porto di Napoli e l'amico dello zio Tanino è venuto a prenderci, dopo avere ascoltato quanto ci era accaduto, con un sorriso beffardo ci chiese in napoletano se avevamo fame, domanda banale ma forse ci voleva "sfruculiare", io e il fratello di mio padre lo zio Matteo, ci siamo guardati sgranando gli occhi e in silenzio ci siamo detti, bene adesso si mangia.
Ci siamo accodati dietro allo zio Tanino, al suo amico e a mio padre, che si raccontavano allegramente di come stavano, di come gli andava la vita e gli affari, sarà stato per la stanchezza, per il maglione che pizzicava o perchè ero svuotato dentro, ma con tutti questi napoletani che parlavano in dialetto, mi è sembrato di stare a teatro, sul palco con Eduardo De Filippo.
Non so voi, ma camminare per le vie di Napoli o di Roma, è un po come stare su di un set cinematografico o teatrale, andavo dietro di loro ma mi sembrava come se non fosse vero, sembrava che tutti si fossero messi d'accordo di parlare in napoletano perchè c'eravamo noi, per intenderci come in "Benvenuti al sud", quando arriva la moglie di Bisio, pensavo che da un momento all'altro smontassero il set.
Invece no era Napoli, bello, bellissimo, peccato che loro come noi, debbano vivere la sporcizia, la delinquenza e così via, ma parliamo di cose più allegre, ad un certo punto l'amico dello zio Tanino, che per comodità chiameremo Gennaro, si ferma e ci ripete: ....ma vuje a tenite a fame ? io e lo zio Matteo con le ultime poche forze rimaste abbiamo risposto insieme, ....a teniamo.
Ancora uno sguardo d'intesa, convinti che saremmo andati in una pasticceria tipo quella di "Filumena Marturano" a mangiare la famosa pastiera napoletana e invece ci dice: bene ! prima vi porto però a vedere la mia ditta e poi andiamo a mangiare, certo avremmo preferito prima andare a mangiare e poi a vedere la ditta, ma oramai...., fu allora che mi accorsi, che il mio borsone pesava un accidente, forse era la debolezza, ma pesava.
Arrivati a destinazione, sopra la porta campeggiava la scritta "Gennaro onoranze funebri", ma porca di una miseria, dopo una nottata di quelle, proprio un imprenditore di onoranze funebri ci doveva capitare ? del resto lo zio Tanino, con l'avvento dell'automobile, aveva visto la fabbrica dei carretti in difficoltà ed era passato a scolpire casse da morto ed è li che si saranno conosciuti.
Abbiamo visto una ventina di casse da morto, di dentro e di fuori, la qualità del legno e i colori della vernice, i fregi e le rifiniture, ma di mangiare non se ne parlava, usciti dalla ditta eravamo convinti di andare a mangiare e invece ci disse: prima di andare a casa vi faccio vedere il deposito, tanto è sulla strada, lì c'erano un centinaio di casse e ancora discussioni tecniche sulla lavorazione, i materiali eccetera.
Eravamo, stanchi, zozzi e morti di fame e andavamo in giro per "casse da morto", come se fosse la quinta essenza del divertimento, io poi con quel borsone che pesava un accidente e mi chiedevo continuamente, che cosa ci sarà mai, cosa ci ha potuto mettere dentro la mamma ? sarà piombo o ferro ? 
Gennaro continuava strada facendo a ripeterci: ....ma vuje a tenite a fame ? fin chè finalmente siamo arrivati in una zona popolare del centro storico di Napoli, entrammo dentro un grande portone, con un ampio atrio all'aperto e le scale esterne che portavano ai ballatoi, molti dei quali chiusi con delle verande in ferro, Gennaro chiamò da giù la moglie per avvertirla del nostro arrivo, che si affacciò e ci invitò a salire.
Era Napoli, Napoli, rivedevo tutto quello visto nei film ambientati a Napoli, appena entrati ci presentò la moglie, giovanissima, una ragazza molto più giovane di lui, moglie forse di terzo o quarto letto, un pò trasandata e una dozzina di figli che andavano da 10/11 anni a 1 anno, era già pronto da mangiare, ma prima ci siamo dati una sciacquata a mani e viso.
Eravamo anche qui nella veranda, anche qui cucina-soggiorno su misura e anche qui con una famiglia extralarge, sembrava un matrimonio, non solo perchè eravamo una ventina seduti a tavola, ma anche per quello che la ragazza ha cucinato e servito, nonostante la fame già dopo gli antipasti eravamo sazi, ma Gennaro ci disse che dovevamo mangiare tutto se no si sarebbe offeso.
Ricordo ancora quella giovane moglie, quasi una serva, ha cucinato, servito e pulito, era già pomeriggio e Gennaro ci ha accompagnato alla stazione a prendere il treno, prima per Roma e poi per Torino, attraversammo a piedi Forcella, lui ci disse di non dare ascolto a nessuno, di stare attenti e di tirare dritti per la nostra strada, praticamente eravamo con lui.
Mi proposero di tutto: sigarette, stereo, mitragliette, carri armati e quant'altro, io avrei voluto solo disfarmi con piacere del mio pesantissimo borsone, siamo arrivati alla stazione e da lì abbiamo preso il treno per Roma dove siamo arrivati attorno alle sette e mezza di sera, il treno per Torino passava verso mezzanotte, così nell'attesa verso le 10, abbiamo mangiato un pollo allo spiedo comprato prima, accompagnato da una bottiglia di vino.
Il treno era praticamente una tradotta militare, un treno con i sedili di legno tipo far west, non dormivamo da una quarantina di ore, ci siamo rannicchiati all'interno dei braccioli di ferro e con le valige per cuscino, io il borsone spigoloso e abbiamo provato a riposarci, non ho chiuso occhio, non riuscivo a capire cosa ci fosse dentro a quella borsa.
Alla fine in tarda mattinata siamo arrivati a Torino, distrutti e puzzolenti, la sorella di mio padre e di zio Matteo, ci ha accolto alla grande come è nel suo stile, la prima cosa che ci ha detto prima di metterci a mangiare: il ferro da stiro me lo avete portato ?
Ci siamo guardati tutti in faccia con immenso stupore, ma è stato solo la frazione di un attimo e abbiamo realizzato: il borsone, ecco che cos'era così pesante e spigoloso.
Guardavo le gambe piene di ematomi provocati dai colpi che mi davo e mi sono chiesto perchè mai non ho avuto l'idea di guardarci dentro prima, l'avrei buttato in mare in mezzo a quelle onde, ci siamo finalmente lavati e cambiato la biancheria e dopo mangiato un giro per porta Palazzo e in visita da Pasquale, cognato della zia Anna, fratello di Paolo il marito e poi a cena.
Il mangiare non ci è mancato mai, alla fine una pulita ce la siamo dati, ma quello che adesso ci mancava era il sonno, non abbiamo visto l'ora di dormire su di un materasso, buona notte, lo zio Tanino; buona notte io; buona notte lo zio Matteo e mio padre:....ma a tiniti a fame ?, seguì una fragorosa risata e ci siamo svegliati dopo 15 ore.
Foto tratte dal web

venerdì 16 ottobre 2015

.... ma vuje a tenite a fame ?

Attorno agli anni 70 a casa da mio padre, la nostra famiglia si era alquanto allargata, alcuni erano in casa a tempo pieno, altri invece lo erano part-time, oltre ai miei genitori quindi c'erano: sei figli, la mamma di mio padre (a tempo pieno), lo zio di mia madre e il fidanzato di mia sorella (part-time) e il cane Willy, anche lui a tempo pieno.
Perchè part-time, perchè venivano solo la sera a cena e la domenica pure a pranzo, la casa non era grandissima ma neanche piccolina, oltre alle camere e ai servizi, avevamo buttato a terra un muro che collegava la cucina con la veranda e avevamo realizzato una cucina-soggiorno, dove praticamente si viveva tutto il giorno e dove ci riunivamo per mangiare.
Era diciamo una cucina-soggiorno su misura, perchè a tavola se a qualcuno scappava la pipì, dovevano alzarsi anche in cinque, le sedie erano distanti dal muro giusto un palmo, io ero a capotavola difronte a mio padre ed ero proprio quello che per andare in bagno, doveva fare alzare più persone.
Alla destra avevo mia nonna, poi andando verso mio padre c'erano le sorelline più piccole e mia madre rigorosamente accanto a mio padre, com l'ultimo arrivato in braccio, mentre a sinistra accanto avevo il televisore, poi mia sorella Cettina a cui scambiavo sempre e sistematicamente, il suo bicchiere di vino pieno con il mio vuoto e poi sempre ad uscire, mia sorella, il suo fidanzato e lo zio "Tanino", il cane Willy stava sotto il tavolo, dove riceveva tutto quello che a noi non andava.

Con il cane Willy eravamo in forte concorrenza, perchè a sedici anni mangiavo pure le pietre, mia sorella Flora quella fidanzata, mi chiamava in dialetto " 'a Vaselli", altro non era che il nome della ditta che raccolta rifiuti, che prendeva il nome dal proprietario, un certo Conte Vaselli.
Ma le cose più curiose del momento conviviale erano due: noi che mangiavamo "grezzo", panelle, purpitielli murati, mussu e caldume, mentre mia sorella che voleva fare l'aristocratica, al fidanzato dava sempre la carne, quando lui (ma c'è lo ha confessato una volta sposato) invece avrebbe preferito "l'altro" e secondo il fatto che ero così accanto al televisore, che lo vedevo di "sguincio" e riconoscevo gli attori solo di profilo.
Una sera di settembre tra una mafalda con la mortadella e un bicchiere di vino (mia sorella e il suo fidanzato carne), nasce l'idea di andare a Torino a trovare la sorella di mio padre e così i massimi responsabili del viaggio, massimi perchè erano loro ad accollarsi le spese, lo zio Tanino e mio padre insieme, davanti a qualche bicchierino di Unicum, stabiliscono la strategia del viaggio.
I giorni che seguirono sono serviti per fare i biglietti, coinvolgere il fratello di mio padre che avrebbe contribuito alla mia quota, visto che ero l'unico a non pagare e poi tutto l'itinerario, intanto si doveva fare di fine settimana per questione di lavoro, loro e prima di ottobre perchè cominciava la scuola, io.
L'itinerario era il seguente: partenza la sera dal porto di Palermo con il postale per Napoli, lì lo zio Tanino aveva un amico d'infanzia, anche lui scultore in legno e voleva rivederlo e poi da lì in treno avemmo raggiunto Torino.
Lo zio Tanino era scultore in legno, la famiglia di mia madre erano di generazione carrettieri, ma no come trasportatori, erano costruttori dei carretti siciliani e ognuno aveva la sua specializzazione, lo zio Tanino scolpiva in legno pupi, angeli, draghi, cavalieri e quant'altro possibilmente il committente gli chiedeva.
All'ora un pò per le condizioni economiche e un pò perchè non si andava mai da nessuna parte, ci siamo fatti prestare qualche borsa capiente, qualche valigia fortunatamente non erano legate con lo spago e alle 19 siamo partiti dal porto di Palermo, direzione Napoli per quello che poi alla fine era il mio primo viaggio, se escludiamo Palermo-Isola in estate, in "lambretta" con i miei genitori.
Partire di fine settembre con la nave non è molto consigliabile, ma chi lo sapeva, ci doveva essere la prima volta e così è stato, siamo partiti in maniche corte, abbiamo preso il posto sul ponte, ci siamo portati il filone, mezzo con la frittata e l'altro mezzo con la cotoletta e una bella bottiglia di vino. Onestamente non vedevamo l'ora di metterci a mangiare e vi dico che un boccone di pane con la frittata e una "'ntrummata" nella bottiglia col vino, a mare aperto, con la brezza che odora di iodio è sublime, ma le cose si sono messe male dopo un poco.
Cominciammo a sentire freddo, nella valigia di mio padre c'erano i maglioni quelli fatti a mano e il prurito con le maniche corte non vi dico, più volte ho pensato che tra i due mali forse era meglio morire assiderato, la stanchezza di stare in piedi sul ponte (quelli più esperti si erano presi tutte le poltrone) e il sonno mi hanno distrutto, tanto da farmi dire a voce bassa e fra i denti, ma chi me la ha fatto fare, non viaggerò mai più in vita mia.
Era da poco passata mezza notte e cominciavo a vedere le sirene come Ulisse, quando la nave cominciò ad "abboccare" (1) e nonostante la nave si fosse messa "alla coppa" (2), la prua si alzava cavalcando l'onda, ma no come chi approfittare del momento, io stavo a prora e vedevo dietro di me un onda alta almeno quanto una casa di tre piani.
Poi la nave scendere in picchiata e alzare la prora, a quel punto attorno a me vedevo solo il cielo e la gente che vomitava, io mi appoggiavo alla "battagliola" (3) e provavo a seguire il movimento della nave per non vomitare quella meravigliosa frittata col prezzemolo, ma spesso dovevo cambiare posizione, per evitare gli spruzzi di vomito trasportati dal vento.
Ad un tratto mi sono accorto di avere perso i contatti con i miei, ci siamo ritrovati nei bagni a vomitare uno accanto all'altro, alla fine avevo perso il ritmo e con quello alche la frittata, è stato in quell'occasione che ho capito che cosa significa sputare l'anima, avevo vomitato di tutto, persino i succhi gastrici, era rimasta solo l'anima ed era uscita pure lei, ma ho avuto un attimo di lucidità e l'ho ricacciata dentro.
Ma si sa che tempo e brutto tempo, non dura sempre lo stesso tempo e così attorno alle otto del mattino il mare forza 9 che avevamo incontrato si è calmato e siamo potuti entrare in porto, portando un paio d'ore di ritardo, abbiamo messo piede a terra attorno alle dieci, con l'olezzo di vomito addosso e le facce cadaveriche che non vi dico.
Ad aspettarci c'era quell'amico di zio Tanino, ci ha chiesto del viaggio, ha sorriso per quanto ci era capitato e poi guardandoci bene ha esclamato: ... ma vuje a tenite a fame ?

(1) tagliare le onde con la prua infilandovi quasi dentro
(2) mettersi in posizione per evitare il maltempo
(3) il corrimano della ringhiera che corre attorno alla nave

Foto tratte dal web.

martedì 29 settembre 2015

400

....erano giovani e forti e sono morti, no quelli erano 1000 e nemmeno i ladroni di alì babà perchè quelli erano 40, non sono i giorni del giro del mondo perchè erano 80, le carte da poker sono 52 e 120 sono i punti della briscola, ma questo 400 cos'è ?
Sempre di giorni si parla, ma sono quelli che mi separano dalla pensione, anzi dal prepensionamento, perchè ci sto rimettendo un bel 10 per cento e perchè un condomino giustamente mi ha detto: ma perchè signor Crisà è così vecchio ?, pensando all'età pensionabile della Fornero.
Dal 2016 i festeggiamenti per la liberazione, saranno effettuati due volte l'anno, il 25 aprile festa della liberazione dell'Italia dal nemico e il 3 Novembre, la mia festa della liberazione dal lavoro, non tanto da quello in ufficio, ma piuttosto da quello domestico.
Ricordate il film "bella di giorno" ? non fa niente, il 3 di novembre 2016, smetterò di essere "bello di pomeriggio", cosi come per l'interprete, che in breve tempo sdoppia la sua vita, di sera moglie dedita al calmo focolare e all'amore del marito, mentre di giorno si dedica alle soddisfazioni dei clienti che trova presso Madame Anaïs, io di pomeriggio smetto i panni del funzionario, per indossare quelle del "filippino".
Ancora è presto per dirlo, prima dovrò mettermi in pensione e poi dovrò metabolizzare la cosa, ma credo di potere già asserire, che questo cambio di vita non dovrebbe crearmi "rimpianti", come ho sempre detto in tempi non sospetti, la pensione è un problema per chi non fa niente e non sa fare niente (parole in musica del maestro Battiato).
Bazzico il nord-est oramai da 10 anni, io mi definisco figlio del mondo, perchè oltre alla voglia innata di viaggiare, sono pure camaleontico, riesco subito ad adattarmi alla nuova realtà senza problemi e poi io sono uno che fa bricolage, l'allenatore, scrivo on-line e monto foto, per non parlare che cucino, spazzo, ma non pulisco il water.
E poi vado a ricostituire trequarti di famiglia, mia moglie ha già comprato il gril, dice che il comune affitta per pochi euro un pezzo di terra da coltivare, lei già mi vede in una serra (costruita da me), come Nero Wolfe (ma spero di non diventare così "tanto") a coltivare tenerumi e ortaggi vari e poi la domenica, in un angoletto ci facciamo la bella "arrustuta" alla palermitana.
Certo mi mancherà il mare, Mondello, il clima, mi mancherà mio figlio che resterà a Palermo per questioni lavorative (il primo di ottobre passa a tempo indeterminato) e amorose, non mi mancherà l'ufficio, anche se ho trovato un gruppo di persone veramente meravigliose, si più che mancare porterò con me un grandissimo ricordo di loro.
All'inizio sono sicuro che li chiamerò spesso e poi come tutte le cose distanti, finiranno per scemare, ma lo ammetto due colleghi mi mancheranno di sicuro, non chiedetemi chi sono, perchè non lo dirò nemmeno sotto tortura, forse davanti ad un lauto pagamento in denaro, potrei "cascittiari".
Foto tratte dal web