venerdì 18 dicembre 2015

Non sono nato allenatore.

Come vi dicevo, ogni tanto una storia di calcio la devo mettere, giusto per allungare il sugo, il fatto che ho allenato per trentaquattro anni, lascerebbe pensare che ho sempre fatto l'allenatore, invece quattro calci ad un pallone li ho dati pure io.
Nello spiazzo davanti alla mia scuola elementare, ci riunivamo tutti i ragazzi del quartiere, i più grandi facevano la conta e formavano le squadre, io che per quell'età dodici-tredici anni, ero il più alto e anche il più scarso, finivo per andare in porta, come succede in qualsiasi latitudine di questa terra.
Quello piano piano, diventò il mio ruolo e così dall'asfalto della piazza, passai a giocare nei campi polverosi, un campo vero con tanto di porte, nel mio rione abitava il presidente di una squadra di borgata il Falsomiele e così mi prese nell'organico dei giovanissimi.
La mia prima partita fu traumatica, intanto perchè mi fecero giocare con i grandi, ero emozionatissimo tanto che i ricordi sono ancora più confusi e non solo dal tempo, i calciatori in campo, venivano sempre allo scontro e si verificavano continui screzi tra loro e l'arbitro, ero onestamente un po deluso.
Ad un certo punto del secondo tempo, dopo l'ennesimo screzio, ho visto l'arbitro correre inseguito da un calciatore, con alcuni che provavano a fermare l'aggressore e chi invece si scagliava con questi alimentando la rissa, io ero in porta proprio vicino agli spogliatoi, stava arrivando l'arbitro e l'inseguitore teneva in mano un coltello.
Più veloce della luce me la sono data a gambe e mi sono infilato nel primo spogliatoio aperto che c'era e che si richiuse velocemente dietro me, si accese la luce e chiusi la dentro c'ero io e l'arbitro, forse scelta sbagliata, subito si sentì battere sulla porta di ferro, urla e grida fuori da essa che durarono un bel po.
Io ero spaventato, ad un tratto ci fu silenzio, pochi secondi e si udì la voce del mio presidente che ci rincuorava e ci invitava ad uscire, che era tutto finito.
Sono entrato nel mio spogliatoio e con gli altri ragazzi più piccoli, abbiamo preso velocemente gli indumenti e ancora vestiti da calciatori siamo scappati, abbiamo preso in quelle condizioni il primo autobus che passava e siamo andati a rivestirci nello spiazzo antistante la scuola.
Nei giorni a seguire, il presidente ci rassicurò che il calcio non era quello e siamo tornati a giocare, l'anno successivo mio padre mi portò negli allievi del Palermo, tutta un'altra cosa, il più lungo (ma nel frattempo gli altri erano cresciuti e mi avevano pure superato) e il più scarso aveva fatto "strada", per modo di dire.
Mi allenavo allo stadio, veramente mi ci spogliavo solamente perchè facevamo gli allenamenti in uno spiazzo la vicino, Di Bella l'allenatore del Palermo di allora, non voleva che si rovinasse il manto erboso, così (neanche allora c'era un centro sportivo) dalla "primavera" in giù, si faceva allenamento fuori e le partite le facevamo in un bel campetto in erba nella borgata di Vergine Maria.
Avevo abbandonato la sacca e le scarpe chiodate che mi aveva regalato mio zio Giacomino e la maglietta con i pantaloncini fatti da mia madre, con i resti delle stoffe, perchè mi davano tutto al campo, tute, magliette, scarpe, riciclavano il materiale che i calciatori della prima squadra smetteva.
Sia per andare al campo per le partite, che per le trasferte andavamo in pulman e poi ogni mese avevamo un rimborso spese per i soldi dell'autobus di due mila lire al mese, qualcosa come 35/40 euro d'adesso, con la prospettiva di allenarsi con quei professionisti, con cui ti incontravi negli spogliatoi, Reja per esempio. 
Negli allievi del Palermo sono stato per due anni, allora gli anni degli allievi erano tre e il terzo anno l'ho fatto nella squadra "Imperatore", da li sono passato nella Juniores del Terrasini, ben presto il secondo portiere della prima squadra, che militava in prima categoria, ha avuto un diverbio con l'allenatore ed è andato via, decretando di fatto il mio passaggio come secondo in prima squadra.
La prima categoria di allora era un po come l'eccellenza di adesso, una categoria appena sotto al semiprofessionismo, tant'è che vi giocano calciatori che poi sarebbero diventati professionisti, come Trapani che giocò poi come portiere nel Palermo.
Belle soddisfazioni e poi anche li mi pagavano, mi davano un rimborso spese di 1500 lire a settimana, circa 75/80 euro al mese, per il treno che mi portava agli allenamenti e alle partite (certo a quei tempi e poi con la lira il potere d’acquisto era differente).
A Terrasini andavo a fare gli allenamenti col treno e la domenica col pulman di linea, tornavo sempre con la “porsche” del portiere titolare Nicola Oddo , uno che stava bene di famiglia e poi lui era un “semiprofessionista” perché era in prestito dal Bagheria serie D, e mi ricordo che facevamo da Terrasini al corso Olivuzza (eravamo entrambi di quel rione), in dodici minuti esatti e non c'erano tutte le curve che incontravo col pulman, lui le prendeva tutte nell'altra corsia.
Comunque giocare a Terrasini era una faticaccia, così sono tornato a giocare (senza soldi) a Palermo, nella Juniores della Jeve Olivuzza, dove mio zio Matteo era il vice presidente e il presidente era quel presidente della vecchia squadra del Falsomiele.
Devo dire che ci hanno provato in tutti i modi a farmi desistere dal praticare questo sport, il coltello di Falsomiele e le corse spericolate (ho visto la morte con gli occhi) con la Porsche di ritorno da Terrasini, ma io e la mia scarsezza abbiamo vinto.
Foto tratte dal web:

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